Ultimi bagliori dell'anime boom (Tratto dalla rivista YAMATO)

BIG BURN
S-1, un pianeta distante 33.000 anni luce dal centro dell'universo. Un pianeta bruciato dalle radiazioni, dove gli uomini sono costretti a vivere nel sottosuolo. Mentre gli scienziati si sforzano per costruire un dispositivo di depurazione, il dittatore Gattler decide di ab¬bandonare quel mondo morente e intraprendere un viaggio di 20.000 anni luce verso un nuovo pianeta che sostituisca S-1. Gli scienziati, gui¬dati dal professor Arthur, si oppongono a questa decisione, incolpando i militari di essere i veri responsabili del disastro ecologico, e sostenen¬do che la responsabilità prima degli abitanti di S-1 dovrebbe essere quella di risanare il pianeta da loro stessi inquinato, invece di abbandonarlo dopo averlo reso inabitabile. Gattler, tuttawa, elimina Arthur e i suoi alleati, e parte per il suo viaggio di conquista. Hayato, figlio di Arthur, lo insegue per impedirgli di trasformare un nuovo pianeta in un deserto radioattivo come S-1. L'astronave di Hayato, il Pulser Burn, viene tuttavia risucchiata in un buco nero, e catapultata nella Terra del 1999, proprio men¬tre l'esercito imperiale di S-1 ha iniziato a sferrare i suoi attacchi; la Terra è il pianeta che Gattler aveva designato per sostituire S-1. Hayato, che era stato costretto ad un atterraggio di fortuna sulla Luna, viene salvato e portato sulla Terra nella Base Segreta Space Comman¬do (SCS), un laboratorio segreto situato in Amazzonia e il cui scopo è l'addestramento di personale specializzato in previsione di un even¬tuale abbandono della Terra in un prossimo futuro, a causa del progressivo peggioramento dell'ambiente. La base è comandata da Goro Tsukikage, che si avvale della preziosa collabo¬razione della scienziata Era Queenstein e dei piloti Jack Oliver, Ryu Hokuto e Jamie Hoshino. La base, tuttavia, Hayato viene guardato con sospetto perché considerato una spia aliena, e nonostante il ragazzo si offra volontario per com¬battere dalla parte della Terra, non riesce ad otte¬nere la fiducia di Jack e Ryu. Nel frattempo, i terrestri sono in grande difficoltà: gli alieni, infatti, posseggono una schiacciante superiorità tecnologica, che permette ai loro mezzi di volare nel sub-spazio, rendendoli così invisibili e irraggiungibili fino all'istante in cui si materializzano improvvisamente in prossimità dei loro obiettivi. Per contrastare gli alieni, la profes¬soressa Queenstein decide di applicare la tecnologia del Pulser Burn di Hayato e facendolo combinare con mezzi pilotati da Jack e Ryu (da lei stessa progettati) riesce a costruire un possente robot in grado di volare nel sub-spazio. Il robot si chiama Big Burn, come l'esplosione che dovrà spazzare via la fortezza sub-spaziale di Gattler. Nonostante le riserve iniziali di Jack e Ryu, Hayato è l'unico in grado di pilotare il Big Burn, e grazie al suo valore in battaglia riesce finalmente a guadagnarsi la fiducia dei compagni. Durante un combattimento, Hayato salva casualmente Bellbaran, braccio de¬stro di Gattler e donna bellissima. I due si innamo¬rano, e la ragazza arriva a tradire Gattler rivelando ai terrestri la posizione della fortezza di S-l, ma al prezzo della sua stessa vita. La guerra arriva così in una fase cruciale: la Argor, la portaerei di Gattler, torna nella terza dimensione per sferrare un attacco decisivo alla Terra, ma durante uno scontro con il Big Burn è costretta ad un atterraggio di emergenza sulla Luna. E proprio allora, osservando la super¬ficie lunare, Gattler si accorge che il satellite della Terra è identico a Mura, il satellite dì S-1. Com¬prendendo che la Terra non è altro che il passato di S-1, Gattler rinuncia alla conquista, ma parte nuo¬vamente alla ricerca di un nuovo pianeta da occu¬pare. Gattler è solo un miserabile pellegrino del¬l'universo, senza pace né casa. Hayato, Jamie e gli altri, grazie al Big Burn, sapranno ricostruire e difendere la Terra affinché ci sia un futuro per tutti. Questo, a grandi linee, il soggetto di Akukan Senshi Big Burn (Big Burn il guerriero sub-spaziale), una serie robotica coprodotta dalla Kokusai Eigasha e dallo studio Ashi Productions nel 1980. Lo staff può contare su un grande nome di richiamo, lo sceneggiatore Akiyoshi Sakai, che aveva firmato serie del calibro di Kyashan, Gatchaman e Tekkaman (il presidente fondatore della Ashi, Toshihiko Nato, proviene dalla Tatsunoko). La lista degli animatori annovera nomi provenienti dalla serie televisiva di Ginga Tetsudo 999, quali Osamu Kamijo e Tamotsu Tanaka. Tra gli altri compaiono anche il regista Kunihiko Yuyama, entrato da poco alla Ashi (ha lavorato in Kujira no Josephina e Don de la Mancha, sarà il regista di Minky Momo) e per la prima volta alle prese con una serie robotica. Anche il meka design è curato da un esordiente nel campo, Moto Sato. Ma il vero esordiente assoluto è proprio il regista Kazuyuki Hirokawa, che sulla sua prima (e, a quanto risulta, ultima) serie animata punta tutto se stesso, con inevitabili errori e incer¬tezze. I più sicuri di sé sembrano invece Satoshi Hirayama, Hideyuki Motohashi e Hajime Kamegaki, i tre animatori del neonato studio Z-5 che arricchiscono la serie in maniera consistente, pur curando solo gli episodi nn. 8, 16, 29 e 36. Kamegaki è responsabile della sequenza della tra¬sformazione del robot, realizzata, a suo dire, come un foglietto di istruzioni di un modellino. Motohashi, proveniente dalla Araki Productions, interviene vistosamente sui personaggi e sullo storyboard, che viene sempre rispedito a Hirokawa con abbon¬danti modifiche. Le ottime scenografie sono curate da Torao Arai, che in seguito si occuperà di Urusei Yatsura, Shulato e Ranma 112. Le musiche, infl¬ne, sono di Kentaro Maneda (in seguito curerà Macross e Onii-sama), del quale Hirokawa ègrande ammiratore da quando ha ascoltato la co¬lonna sonora di Takarajiina (la versione de L'isola del Tesoro diretta da Osamu Dezaki), e a cui la produzione concede assoluta libertà, eccettuata la sigla iniziale, necessariamente "robotica".

ANIME BOOM
Erano gli anni ruggenti dell'anime boom, un feno¬meno che aveva portato il cartone animato all'attenzione dei mass media i quali, disinteressati e disinformati come sempre, fino a quel momento si erano dedicati all'argomento solo marginalmente. Si trattava, in realtà, dello stadio più appariscente di un lento processo iniziato anni prima quando, nel 1972, Yoshinobu Nishizaki e Yoshiyuki Tomino, ambedue provenienti dalla collassante Mushi Productions (Tornino aveva diretto numerosi epi¬sodi di Tetsuwan Atom), avevano curato la serie Umi no Triton (Triton dei mari). La serie aveva ottenuto un successo abbastanza circoscritto, an¬che per via della fascia oraria, sabato alle 19 (ora di cena) che la sovrapponeva al telegiornale della NHK e ai programmi di quiz. Ma conteneva tutti gli elementi della peripezia/bildungsroman delle fa¬vole tradizionali reinterpretate in funzione di un intreccio epico e avventuroso che avrebbe fatto scuola: il fanciullo divino, il rapporto con le origi¬ni, il viaggio, gli ideali di Pace e Giustizia univer¬sali, un'ambientazione fantastica, il romanticismo, l'amore, e soprattutto una struttura narrativa medi¬ta, composta non da episodi indipendenti ma da una storia continua. Quest'ultima caratteristica si era rivelata doppiamente decisiva: se da una parte era una delle cause dell'iniziale fallimento della serie (l'impegno di seguire una storia ogni settimana era considerevole), dall'altra costituiva una defle ra¬gioni dell'entusiastico apprezzamento di fan che ne chiedevano a gran voce la replica. Dall'espe¬rienza di Umi no Triton, nel 1974 Nishizaki aveva fatto un primo tentativo di epopea spaziale a carto¬ni animati con Uchu Senkan Yamato (Corazzata Spaziale Yamato), serie di fantascienza nazionali¬sta (come spesso accade alla fantascienza) visualizzata da Reiji Malsumoto. Per ragioni non troppo dissimili da Umi no Triton, tuttavia, dal punto di vista commerciale anche Uchu Senkan Yamato si rivelò un mezzo disastro, tanto che la serie venne abbreviata. Ma la sapiente combina¬zione di dramma umano e di un meka (curato dallo Studio Nue) per la prima volta così dettagliato, esercitò un fascino senza uguali sulla nuova gene¬razione, che sembrava avere nuove esigenze e un nuovo approccio con il mezzo di comunicazione animato: i bambini che consumavano un prodotto televisivo del quale potevano, al massimo, emulare i dialoghi, erano diventati liceali che volevano visitare gli studi di animazione, e non per imparare il mestiere, ma per conoscere i disegnatori, avere qualche rodovetro in regalo, vedere i doppiatori, vedere, insomma, anche ciò che stava dietro. Le successive repliche della serie infoltirono la piccola ma sempre crescente schiera di appassionati, e nell'agosto 1977 il testardo Nishizaki riuscì final¬mente a portare un'edizione condensata della serie nelle sale cinematografiche. Il lungometraggio, per la verità, era stato realizzato pensando al mer¬cato statunitense, anche perché le passate esperien¬ze in patria (Toei in primis) avevano insegnato ai distributori giapponesi che l'animazione, nelle sale, era un'operazione in perdita. Quanto queste leggi di mercato non fossero più valide, e quanto fosse numerosa la generazione cresciuta guardando car¬toni animati in televisione, lo dimostrarono le lunghissime code di fronte ai cinema già in prima mattinata, code che naturalmente richiamarono il crescente interesse dei mass media, che informaro¬no prontamente la nazione dell'esistenza di un nuovo fenomeno al quale partecipare. Come risul¬tato, gli anni successivi videro una crescita esponenziale dei lungometraggi animati, e la tra¬sformazione del mezzo in una serializzazione non solo televisiva, ma anche cinematografica. Nel 1978, con due miliardi di yen, Saraba Uchu Senkan Yamato (Addio, corazzata spaziale Yamato) stabi¬liva un record come quarto miglior incasso del dopoguerra, mentre la TMS inaugurava la serie di lungometraggi dedicata a Lupin III, che sarebbe proseguita l'anno successivo con Cagliostro no Shiro (Il castello di Cagliostro), preludio di un altro fenomeno che sarebbe arrivato di lì a poco.

Molti classici iniziarono a venir riproposti nelle sale in versioni di montaggio, come per esempio Ashita 110 Jo o lo stesso Umi no Triton, che non casualmente accompagnò le proiezioni di Uchu Senkan Yamato. Il neologismo anime (contrazio¬ne del wasei eigo - inglese giapponesizzato -animeeshon, animazione) sostituì nella lingua giap¬ponese il generico e obsoleto manga eiga (film di manga), e andò a comporre il nome delle nascenti testate specializzate, come The Anime o Animage. Il successo di Uchu Senkan Yamato, infine, rega¬lò un periodo di grande popolarità a Reiji Matsumoto, soprattutto con Ginga Tetsudo 999 (Ferrovia Galattica 999), tre sortite cinematografi¬che tra il 1979 e il 1981. Peripezia moralistica ispirata al racconto di Kenji Miyazawa Ginga Tetsudo no Yoru, e in seguito con 1000 nen Joo (La Regina dei 1000 anni), 1982, ispirato alla favola popolare Taketori Monogatari (Il racconto di un tagliatore di bambù) e Waga Seishun no Arkadia (L'Arkadia della mia giovinezza, 1982). Sul fronte televisivo, lo studio Soeisha, fondato nel 1972 da un gruppo di sette persone provenienti dalla Mushi, abbandonava le produzioni per conto della Tohokushinsha (Reideen) e dalla Toei, e cambiando il proprio nome in Nippon Sunrise iniziava a rivoluzionare le serie robotiche grazie allo sceneggiatore/regista Yoshiyuki Tomino. Di¬versamente da Nishizaki, evidentemente convinto che le nuove generazioni dovessero nutrirsi di valori conservatori e delle rivisitazioni corrette del passato prossimo del proprio paese, Tornino rìmet¬teva in discussione il tradizionale rapporto padre-figlio (così come era stato raccontato più volte, per esempio, da Ikki Kajiwara) alla luce dei cambia¬menti avvenuti nella società. Al posto dell'accetta¬zione finale del ruolo paterno da parte del figlio, Tornino carica quest'ultimo di una serie di com¬plessi provocati da un padre assente, che ha lasciato solo un'eredità indesiderata e la delega di riparare i suoi errori. Questo rapporto problematico, cardine dell'etica confuciana messo effettivamente in crisi dall'as¬senza della figura paterna nella famiglia giappone¬se del dopoguerra, viene sperimentato da Tomino nel 1978 con Muteki Kojin Daitarn 3 (Daìtarn 3 l'invincibile uomo d'acciaio), e in seguito svilup¬pato nella sua serie successiva, ovvero Kido Senshi Gundam (Guerriero meccanizzato Gundam), trasmesso dall'aprile 1979 al gennaio 1980, e nella cui strutturazione si trovava l'evidente eredità di Umi no Triton. Gundam, considerato una pietra milia¬re nella storia dell'animazione, ottenne inizial¬mente degli indici di ascolto ben poco soddisfacen¬ti, tanto è vero che i 52 episodi previsti si ridussero a 43. Anche in questo caso fu la riedizione cinema¬tografica in tre lungometraggi di montaggio (anche se diverse furono le sequenze aggiunte, soprattutto nel terzo) a consolidare il fenomeno Gundam tra il marzo 1981 e il marzo 1982: 15.000 partecipanti alle riunioni per i fan a Shinjuku, indici di ascolto al 20 per cento nelle successive repliche televisive, migliaia di modellini Bandai (i cosiddetti ganpura', o Gundam Plastic model) venduti nei negozi. Era cambiato il cartone animato, era cambiato il pub¬blico ed era cambiata la relazione tra l'uno e l'altro: regista, disegnatore e doppiatore avevano ora un volto conosciuto dagli spettatori grazie a manife¬stazioni (gli ibento, o “event”) che riunivano lo staff e tutti gli appassionati, e che trasformavano il prodotto in qualcosa di irripetibile al quale parteci¬pare direttamente.

BALDIOS
Il 30 giugno 1980 il circuito Tokyo Television inizia la programmazione della versione definitiva di Akukan Senshi Big Burn, che con alcune modifiche di sceneggiatura si intitola ora Uchu Senshi Baldios, Baldios il guerriero spaziale. Le trasmissioni di Gundam sono terminate da circa sei mesi, ma la Gundamfever non è ancora scoppia¬ta. Uchu Senkan Yamato e Ginga Tetsudo 999 rappresentano i paradigmi di quel genere definito space opera, ambiziosa commistione di romantici¬smo melodrammatico, bildungsroman, Amore (universale e individuale, legati spesso in un'ambigua equazione) e fantascienza. Lo stesso Gundam, in seguito, verrà non a torto inserito nel genere, anche grazie al grande spazio nel terzo lungometraggio dedicato al rapporto Amuro-Lalah. Baldios riflette alla perfezione il periodo di transizione in cui si trova, vistosamente legato agli idealismi di Nishizaki/Matsumoto e ai ripetitivi cliché delle serie robotiche, eppure desideroso di differenziar¬sene. Big Burn/Baldios, il robot componibile, è in realtà una presenza piuttosto marginale ai fini della storia, che nelle intenzioni del produttore Yoshiaki Sohara deve più che altro denunciare, in chiave ecologista, il dovere di guardare la realtà negli occhi e non fuggire di fronte alle proprie responsa¬bilità. Sohara vorrebbe anche evitare la consueta struttura delle serie robotiche, nelle quali lo scontro tra i titani d'acciaio deve costituire il fulcro di ogni episodio. Ma dal momento che la serie viene spon¬sorizzata, è necessario inserire una certa quantità di meka, che consenta lo sfruttamento da parte del¬l'industria del giocattolo. I robot componibili di Go Nagai, dopotutto, erano nati e si erano moltiplicati per la medesima ragione, e del resto la Nippon Sunrise non avrebbe mai potuto avventurarsi nel genere robotico senza l'appoggio della Bandai: le serie robotiche, notoriamente, richiedono un gran numero di disegni, e di conseguenza maggiori spese di produzione. Anche la fauna umana di Baldios riflette un tenta¬tivo di differenziazione. La caratteristica (dichia¬rata) delle space opera doveva essere l'universali¬tà. un concetto assolutamente retorico che Nishizaki e Matsumoto esprimevano paradigmaticamente nell'etnocentrica equazione Universo=Giappone assegnando la missione di salvare la Terra (e in seguito, appunto, l'universo) a un equipaggio inte¬ramente giapponese a bordo di un'astronave inte¬ramente giapponese, la quale, ai suoi tempi, aveva costituito l'orgoglio (ferito) della flotta imperiale. Per contro, Tomino proponeva un equipaggio multinazionale (pur se esclusivamente caucasico, ma questo è un problema del quale si tratterà altrove), e una complessa contrapposizione tra due fazioni per nulla manichea, e liberata dal luogo comune dell'invasione aliena: gli uomini sanno benissimo ammazzarsi tra loro. Baldios sembra stare esattamente nel mezzo. ln primo luogo, la giapponesità del protagonista di Big Burn, suggerita da! deliran¬te abbinamento onomastico di Hayato Arthur, è del tutto scomparsa grazie al nuovo nome Marin Reigan, che oltre a risolvere l'assurdo di un alieno dal nome nippo-anglofono che non susciti anticipatamente sospetti di paradossi spazio-temporali, enfatizza il legame tra il protagonista e il mare/simbolo della vita. La composizione del gruppo umano intorno a Marin, pur mantenendo una certa maggioranza nipponica, si presenta abbastanza variegato, of¬frendo una interessante ripartizione dei ruoli e delle nazionalità. Il genio tecnologico è affidato alla tedesca Era Queenstein, mentre i piloti Space Commando, ora chiamati Blue Fixer, sono rappre¬sentati dal giapponese Raita (Ryu) Hokuto e dallo yankee Jack Oliver, del quale non può sfuggire il naso lungo caratteristico delle raffigurazioni degli occidentali da parte degli estremo orientali. La "ragazza" del gruppo, Janiie Hoshino, sembra invece uscita da un feuilleton per ragazze, anche perché il suo ruolo è di coinvolgere il pubblico femminile: nata in Grecia, è stata allevata da un'oriunda giapponese (in Big Burn avrebbe do¬vuto essere oriunda lei stessa, come del resto suggeriva il nome), e ritrova il padre mai conosciu¬to grazie al pendente che porta al collo. Inutile aggiungere che il padre è nobile e ricchissimo: è il sovrano, rigorosamente caucasico e vestito come il principe azzurro della Cenerentola di Walt Disney, del regno nord-africano di Lenia, paese immagina¬rio ma facilmente identificabile con il Sudafrica (Gattler vuole impossessarsi delle sue ricche risor¬se minerarie). Illuminante sulle concezioni di ordine mondiale dei giapponesi è l'esistenza di una Federazione Mondiale (che si presume essere il massimo organo politico) rappresentato dall' anglofono Morgan, mentre il giapponese Takeshi (Goro in Big Burn) Tsukikage è al comando di una struttura scientifi¬co-militare in possesso della tecnologia più avan¬zata del pianeta, e alla quale sembra essere affidato il compito di difendere la Terra. Questa ripartizione di potere politico e potere tecnologico è ancora più interessante se si considera che i Blue Fixer, pur sottostando (non senza qualche screzio) alle direttive della Federazione e dei suoi deputati (che non li valuta come "meriterebbero"), rappresentano un'organizzazione nettamente diversificata dal¬l'esercito federale (il fatto che Tsukikage partecipi regolarmente alle riunioni dei deputati della Fede¬razione è un dettaglio eloquente), costretti a sop¬portare le prove più dure per salvare la Terra, compito che l'esercito non sembra in grado di assolvere. Anche Baldios finisce per costituire un ottimo esempio di quella ricorrente forma di higami (paranoia vittimistica) che caratterizza certa fiction giapponese da Godzilla in poi. Ma a salvare dalla sindrome della minaccia che proviene dall'esterno gioca l'espediente del salto nel tempo, forse non originalissimo, ma che certamente contribuisce a suscitare cupe riflessioni man mano che la guerra finisce per assumere una scala sempre più catastro¬fica, finendo per alterare irrimediabilmente buona parte del sistema solare: secondo il messaggio di Sohara, la distruzione del genere umano non richie¬de necessariamente l'intervento deresponsabiliz¬zante di alieni malvagi. La presenza di un solo Baldios, arma la cui potenza non sembra affatto stimolare una produzione in grandi quantità, è tuttavia una riprova di come la serie non sia in grado di di staccarsi dai clichè degli anni Settanta e dalla centralizzazione del ruolo del difensore a un gruppo circoscritto. Non andrebbe comunque di¬menticata l'esterofilia sottomessa e condizionata da decenni di fìction americana che ha suggerito ai curatori italiani di sostituire il nome Tsukikage con un "Jonathan Bannister" (pur lasciandogli la na¬zionalità giapponese), evidentemente più credibile e rassicurante. il che riflette in modo analogo un diverso concetto degli Usa nell'immaginario na¬zionale. Baldios, infine, non è in grado di emanciparsi da quella protagonistizzazione del Giappone che ri¬salta in ogni preteso scenario internazionale, un ingrediente del resto inevitabile per coinvolgere direttamente lo spettatore: mentre altri paesi ven¬gono 'camuffati" (Lenia, come si è visto, potrebbe corrispondere al Sudafrica; negli episodi 20 e 21 si usa l'anagramma Berisia per indicare una Siberia piena di armi nucleari, anche se nell'edizione italiana si parla apertamente di Siberia), il Giappo¬ne è l'unico a mantenere inalterata la sua identità. ottenendo inoltre il privilegio di una ricorrenza assai frequente. Fanno testo, su tutti, l'episodio n. 23, il cui titolo è una preghiera rivolta a Marin affinché salvi l'Arcipelago. e ancora l'episodio n. 32, nel quale, durante l'apocalittica sequenza dell'inondazione della Terra, nulla sembra scon¬volgere maggiormente la Base Blue Fixer della notizia che “persino" il Giappone è sprofondato. Ma in Baldios non ci sono solo scenari politici e applicazioni dì schemi narrativi, dietrologie non necessariamente recepite dal grande pubblico. Baldios è, prima di tutto, una space opera, e nella sua sceneggiatura è naturalmente presente una storia d'amore nella quale ha un ruolo importantis¬simo Aphrodia (già Bellbaran in Big Burn). Ma di questo si tratterà più avanti.

PRELUDIO ALLA CATASTROFE
La serie Uchu Senshi Baldios deve fin dall'inizio lottare duramente per guadagnarsi uno spazio nel-l'etere. La fascia oraria, dalle 18.45 alle 19.15 di lunedì, è una scelta forzata, dettata dalla necessità di contrastare la seconda serie di Lupin III, tra¬smessa alle 19 dal canale Nihon Television, e ormai giunta al 142mo episodio. Baldios naviga tra la vita e la morte per 14 episodi (il quattordicesimo viene anticipato alle 18.30), nonostante l'appoggio delle riviste di animazione, generalmente entusia¬ste della presenza in una stessa serie di meka e romanticismo. Lupin III termina il 29 di Settembre al 155rno episodio, e il lunedì successivo Baldios viene finalmente spostato alle 19, un orario d'oro per i cartoni animati. Il sedicesimo episodio, sceneggiato da Hirokawa stesso ("un disastro", secondo le stesse parole del regista) e intitolato Fuga dall'incubo, si rivela invece essere esatta¬mente l'opposto. Il cartone animato della Nihon Terebi destinato a sostituire Lupin III è infatti Ashita no Jo 2, superba produzione TMS che conclude, dopo un intervallo di dieci anni dalla prima serie, la parabola nichilista del pugile Jo Yabuki. Quanto Jo sia rimasto nel cuore dei giap¬ponesi lo racconta con spietata eloquenza l'indice di ascolto di “Fuga dall'incubo: 1 per cento”. La serie regge in questa fascia oraria fino al 16mo episodio (27 Ottobre 1980), poi subisce un trattamento molto simile a quello degli impiegati in eccesso dì certe ditte giapponesi, che non potendo essere licenziati vengono gradualmente "allonta¬nati" o messi a lavorare in angoli bui finché non decidono di andarsene "spontaneamente". Nel caso di Baldios, si tratta della nuova fascia oraria: domenica alle sette. Del mattino. Gli indici di ascolto confermano che i giapponesi, la domenica mattina alle sette, sono ancora prevalentemente raggomitolati nei futon. Hìrokawa non si arrende: riconosce i suoi errori iniziali, decide di riscrivere, insieme a Sakai, la sceneggiatura dei rimanenti episodi, e trasforma Baldios in una sorta di gioco al massacro dal finale tragicissimo. Se nessuno guarda la serie, tanto vale rifada secondo i propri gusti. Come in Zanbot 3, dove la leggenda vuole che lo staff si esaltasse nel far fuori i personaggi uno dopo l'altro, anche in Baldios inizia così una strage impietosa a partire dall'episodio n.29 (tecnica¬mente tra i migliori della serie), dove Hideyuki Motohashi si diverte a disegnare un nuovo perso¬naggio bello e nichilista, David Wayne, apposta per farlo morire in una disperata missione suicida. La morte dì Tsukikage viene “programmata" per l'episodio a. 34, quella di Aphrodia per il n. 36 (anche questo curato da Motohashi), quella di Raita per il n. 38, nel quale va in pezzi anche il Baldios. Si decide di saltare l'episodio a. 31 (Il pianeta perduto), dando la precedenza al n. 32, intitolato, in modo beffardamente profetico, Hametsu e no jokyoku (Preludio alla catastrofe). La catastrofe, che nelle intenzioni degli sceneggiatori doveva essere uno spaventoso maremoto che avrebbe spaz¬zato via 3 miliardi e mezzo di persone, si rivela di tutt'altra natura, andando a colpire, con altrettanta drammaticità, la serie stessa: gli sponsor, insoddi¬sfatti dello scarso rendimento commerciale della serie (nemmeno i giocattoli vendono) ne decretano l'interruzione a soli otto episodi dalla conclusione. E' il 25 Gennaio 1981.

MILLE LETTERE
Eppure Baldios piace. Non a tutti, e forse neanche a molti. Ma è riuscito a guadagnarsi una schiera di appassionati irriducibili, che lo hanno seguito nelle sue tormentate migrazioni all'interno della programmazione televisiva. E nei giorni successivi, mentre lo staff è in preda a un profondo stato di frustrazione e molti continuano testardamente a disegnare (Motohashi ha già realizzato buona parte dell'episodio a. 36), i telefoni della Ashi suonano ininterrottamente alle chiamate di protesta degli spettatori, che chiedono il significato di quella scritta "fine" al termine di un episodio che, chiara¬mente, finale non è. Dopo l'interruzione, le riviste di animazione sono tutte dalla parte della Ashi, e pubblicano i riassunti degli episodi non trasmessi, mentre allo studio arrivano più di mille lettere di sostegno. Si decide così di non sospendere il progetto di un lussuosis¬simo libro cartonato che raccolga tutto ciò che riguarda il mondo di Baldios, una sorta di riscatto per non sentire vanificato il proprio lavoro. E mentre lo staff si concentra su questo progetto editoriale (che uscirà nell'aprile 1981, più di 4 mesi dopo essere stato annunciato), qualcuno inizia a suggerire l'idea di un lungometraggio cinemato¬grafico. La proposta viene inizialmente accolta con scetticismo, ma lo staff non sembra disposto a rimanere come una macchia nera nella storia del¬l'animazione, e del resto il sostegno dei fan e delle riviste sembra confortante. Una trionfale celebra¬zione del ritorno di Baldios, tenutasi a Osaka il 12 luglio 1981 in presenza di centinaia di appassiona¬ti, stabilisce l'avvio ufficiale del progetto cinema¬tografico.

BERUBARAN
Il Baldios per le sale viene rinnovato in diversi punti. La sceneggiatura viene nuovamente modifi¬cata da Sakai, spesso in maniera radicale, per condensare l'intera storia in un film di circa due ore, cercando di salvare (o enfatizzare) ciò che nella serie aveva funzionato, eliminando invece i maggiori difetti. Significativamente, il robot viene ulteriormente messo da parte, lasciando però una sequenza di trasformazione, e concedendogli un'ul¬tima apparizione abbastanza spettacolare prima che venga definitivamente scomposto. Si decide invece di privilegiare il dramma di amore, odio e destino che lega Aphrodia e Marin. Come era accaduto per Danguard, il fascino di Baldios non risiede infatti nel meka, quanto piuttosto nelle caratterizzazioni dei personaggi e nel dramma che li travolge tutti. E se Danguard portava nel genere robotico i topoi delle spokon shiirizu (sene della tenacia sportiva), Baldios sperimenta per la prima volta la bizzarra commistione tra il genere robotico e il fumetto per ragazze, e il pubblico femminile costituisce certamente un target previsto (e pun¬tualmente raggiunto) dalla serie. Se Tsukikage, un ennesimo clone delle stirpe degli scienziati canuti e baffuti che comandano le basi robotiche, e Raita, l'irruento compagnone di grossa taglia (vedi Chuta Ban in Kyojin no Hoshi) appartengono a paradigmi risaputi e sfruttati, il bellissimo Marin dall'occhio ceruleo e dall'animo tormentato eredita l'iconografia dei bishoonen degli shojo manga e la tradizione dei "belli" che nelle serie per ragazzi riuscivano ad affascinare il pubblico femminile, primo tra tutti proprio il dolce e altrettanto tormen¬tato Duke Fleed, bishonen disegnato dal maestro di Hideyuki Motohashi, ovvero Shingo Araki. La sequenza di Marin nudo sotto la doccia rimarrà nella fantasia di molte spettatrici, non solo giappo¬nesi. Ma è possibile identificare un'influenza più diretta, proveniente da una serie televisiva che, al momento in cui Baldios inizia a essere program¬mato, si avvia alla conclusione: Versailles no Bara. La prima analogia, più facilmente riscontrabile, è di tipo grafico: impossibile non rintracciare somiglianze tm Aphrodia e Oscar, e tra Queenstein e Maria Antonietta adulta. Non a caso, Motohashi (ancora lui) ha lavorato in ambedue le serie. Ma non finisce qui. L'uso di ingredienti melodrammatici quali genitori sconosciuti, infan¬zie difficili, cuori infranti, un campionario di trage¬die che rende cupo il passato di ogni personaggio, è un'altra caratteristica propria del Feuilleton per ragazze, non certo di una serie spaziale. E affatto inconsuete per una serie robotica (ma non per uno shojo manga) sono le tre principali figure femmi¬nili: Jamie, Queenstein e Aphrodia. Jamie, come si è visto, potrebbe essere un epigono di Candy (o Rosalie): sincera e innamorata, solare e ottimista nonostante le prove che deve superare. Al suo carattere un po' infantile si contrappone la presen¬za di una figura femminile lucida e forte come Queenstein, incrollabile punto di riferimento della Base Blue Fixer e dei suoi piloti irruenti ed emotivi. L'apparente freddezza e impassibilità di Queenstein , tuttavia, nasconde un tragico passato, che la spinge a nascondere i suoi sentimenti. E poi c'è Aphrodia, il comandante supremo dell'esercito di S-l, che sembra racchiudere le personalità sia di Jamie che di Queenstein. Ai tempi di Big Burn la presenza di Aphrodia è del tutto meteorica, e corrisponde al personaggio di Bellbaran, un nome che, volendo, si potrebbe lecitamente traslitterare anche in Berubaran, e non aggiungiamo altro. In fase di ideazione, per di più, pare che ci fosse stata parec¬chia indecisione su chi tra Jamie (decisamente favorita in Big Burn), Aphrodia, e addirittura Queenstein avesse dovuto fare coppia con Marin. L'immagine che si vuole dare di Marin all'interno della serie, del resto, è quella di un ragazzo imma¬turo, e a programmazione in corso, curiosamente, alcune spettatrici non mancheranno di cogliere la sua indecisione fra le tre donne. In fase definitiva, comunque, l'amore (negato, impedito, cercato) tra Aphrodia e Marin diventa uno degli assi portanti della sceneggiatura di Baldios. Una relazione tra Aphrodia e Marin non potrebbe tuttavia sembrare più problematica: lei odia lui dal giorno in cui questi uccise suo fratello Milan (Milan, a sua volta, aveva appena ucciso il padre di Marin), e come se non bastasse la sua abnegazione e assoluta fedeltà al regime la spinge a considerarlo un traditore di S-1. Il destino (e si ritorna quindi agli shojo manga) che lega i due personaggi viene tuttavia enfatizzato nell'emblematica sequenza di apertura del film, nella quale Aphrodia e Marin (che ancora non si conoscono) osservano con iden¬tica tristezza il mare radioattivo di S-l, condivi¬dendo inevitabilmente il desiderio di rivedere rifiorire il proprio pianeta. Questo brevissimo e fatalmente decisivo istante di empatia è solo il primo di una concatenazione di eventi che porterà ripetutamente i due giovani una di fronte all'altro, gettando però Aphrodia in una crisi di identità alla quale reagirà in modo estremo. Ma i sentimenti contrastanti di Aphrodia sono dovuti principalmente al carisma ipnotico di Theo Gattler, il dittatore di S-1, il terzo, peculiarissimo vertice di questo inconsueto rapporto triangolare. Facendo credere che si fosse trattato di un inciden¬te, Gattler aveva fatto sopprimere i genitori di Aphrodia, suoi avversari politici, quando lei e Milan erano ancora bambini. I due vengono però adottati proprio dall'assassino dei loro genitori. e Aphrodia cresce completamen¬te plagiata da Gattler. Da una allegorica sequenza (che gli spettatori televisivi non avevano potuto vedere, ma presente nel film, sappiamo che il dittatore si è imposto su di lei anche deflorandola sessualmente, un evento che ha traumatizzato la ragazza. ma che allo stesso tempo sembra essersi rivelato decisivo per la sua sottomissione al suo padre-padrone e creatore. Aphrodia si è così trasformata in una fedelissima succube di Gattler, al quale obbedisce ciecamente. E lui, consapevole che i suoi ufficiali non aspettano altro che rovesciarlo, l'ha nominata comandante supremo del suo esercito. Aphrodia è orgogliosa della sua carica, e arriva a dichiarare di aver rinunciato a essere donna nel momento in cui ha indossato l'uniforme. Ma Rosa Aphrodia porta un nome che non potrebbe essere più esplicito, e i fantasmi del Gattler stupratore e del Marin gentile non le danno pace, insinuando in lei il dubbio. Questo contrasto tra la grande fragilità interiore e l'immagine forte imposta dal suo ruolo di comandante, aggiunto a un altissimo senso del dovere e al disperato bisogno di coerenza sono caratteristiche psicologiche che accomunano inevitabilmente Aphrodia e una certa rivoluziona¬ria bionda ben nota anche al pubblico italiano, anch'essa tormentata dalla confusione dei ruoli e dalla tragica contrapposizione tra doveri e imposi¬zioni sociali e sentimenti puri che vengono negati e soffocati. Il fatto che in apertura del film Aphrodia compaia senza l'uniforme, prigione per forza e corazza per scelta anche per la nota rivoluzionaria bionda, è un dettaglio che non dovrebbe passare inosservato. Ed è un dato di fatto che le fan di Versailles no Bara costituiscano un'alta percentuale delle fan di Baldios. Vale infine la pena spendere qualche parola su Gattler, una figura che riconferma l'abi¬lità della narrativa giapponese nel caratterizzare gli "avversari". L'immagine di Gattler dittatore spietato e sanguinano ai limiti della follia, così come la si trova nella serie, è difficilmente rintracciabile nel film, dove sembra piuttosto ricoprire il ruolo di unico personaggio realmente cosciente degli avve¬nimenti: non solo comprende perfettamente l'ura¬gano emotivo che sconvolge Aphrodia, ma sembra anche essere l'unico adulto che si oppone all'immatura esuberanza giovanile di Aphrodia e Marin, infervorati dai loro idealismi e incapaci di accetta¬re compromessi. Significativamente, nè l'una nè l'altro saranno in grado di superare la personalità del dittatore, come accade nella lunga tradizione di ribelli perdenti della fiction degli anni Settanta.

Baldios e il suo finale

Rarità: è l'unica serie in cui sono i terrestri a perdere.