Il Gazzettino - 17 marzo 2003

Un articolo a difesa di Mazinga & co., contro i molteplici luoghi comuni che spesso entrano in gioco quando si parla di cartoon giapponesi.
Un sentito grazie a Paolo, per avermi spedito la scansione dell'articolo.

Lunedì, 17 Marzo 2003

Il fascino lontano di Mazinga & Co.: alla scoperta dei cartoon giapponesi

Nell'opinione comune e "benpensante", il mondo dell'animazione giapponese (i famigerati "cartoni" di tante emittenti private) è un mondo deteriore, di serie B, violento e diseducativo, tecnicamente rozzo e contenutisticamente involuto, primordiale.
Come tutti i prodotti culturali, invece, si tratta di un "mondo a parte" che possiede leggi, codici, regole, linguaggi specifici ma - soprattutto - una particolarissima "estetica" strettamente correlata alla cultura e ai valori di quel paese, e in netta antitesi alle scuole di animazione di altre aree, in primis quella americana (e nello specifico disneyana).

Consapevole di questa verità, e forte di una preparazione squisitamente filosofica, un giovane studioso milanese, Marcello Ghilardi, collaboratore alle cattedre di Estetica e Sinologia dell'Università di Padova, ha appena dato alle stampe per la padovana Esedra un affascinante volume di "viaggio" e analisi dentro questo complesso e sfaccettatissimo universo dell'immaginario, "Cuore e acciaio: estetica dell'animazione giapponese" (pagg.204, euro 16).

La duplice preparazione dell'autore (filosofica e orientalistica) gli consente sin dalle prime pagine l'approccio più scientificamente corretto alla materia: cioè quello volto ad individuare, insieme alle ragioni della larghissima diffusione e popolarità dei cartoons nipponici in occidente, anche le strette correlazioni fra i valori, le tradizioni, le modalità, le tematiche di quella cultura e le storie, i personaggi, le dinamiche psicologiche delle varie serie. Non tanto per una loro classificazione (che risulterebbe del resto ardua, vista l'entità della materia), quanto per una loro comprensione e lettura che vada oltre la semplice sudditanza dei fan o il risibile anatema dei moralisti dello sguardo, ormai in agguato ad ogni angolo della postmodernità.

A parte l'importanza per così dire sociale, in termini di aggregazione e di riconoscimento di gruppo, che l'era di Mazinga ha portato nel formarsi di una "coscienza dell'immagine" e della serialità (intesa anche come capacità di riconoscibilità, classificazione e valutazione) tra le generazioni che oggi hanno dai venti ai trent'anni, Ghilardi fonda il suo saggio su una fondamentale constatazione iniziale, che poi è anche un grande, decisivo distinguo: quello che separa l'animazione giapponese, così osteggiata, criticata e snobbata, dal mondo dell'animazione disneyano, molto più forte per capacità di penetrazione e di smuovere consenso. Mentre in Disney, scrive l'autore «tutto è scoperto, per divertire, emozionare ma (possibilmente) non turbare, non angosciare», nei cartoon del Sol Levante «al contrario la forza narrativa si avvale e trova la propria ragion d'essere, il suo punto di maggior forza nelnon detto, nelnon esplicitato, nella pausa, nel silenzio. La cultura giapponese si è formata e perfezionata in questa direzione: ciò che è più importante e prezioso va custodito sotto le pieghe dei vestiti, dietro le porte scorrevoli, all'interno della stanza più riposta della casa. La magia e la profondità del senso della vita possono venire colte solo da chi sa vedere oltre l'apparenza...».

Queste osservazioni confliggono clamorosamente con l'idea di un mondo ultraviolento, squadrato con l'accetta: e consentono a Ghilardi di inoltrarsi, con notevole perizia, dovizia di citazioni e grande rigore intellettuale, nei meandri delle varie serie fantascientifiche, epiche, sportive, alla ricerca costante di quel filo conduttore che è costituito di volta in volta dalla permanenza di figure della tradizione buddhista e shintoista, di temi come la morte e l'"altro", il sacrificio e il tempo che sembra non scorrere mai, la tecnologia e l'arcaicità. Un percorso complesso e avvincente, fortemente tematico, che si completa con l'analisi dettagliata di alcune serie tra le più popolari (da "Gundam" ad "Akira" a "Mononoke hime"), come ipertesti utili alla ulteriore decodificazione della materia.

In sintesi, un prezioso strumento di comprensione e di traduzione di un mondo vastissimo, spesso frainteso o erroneamente attribuito ad un target esclusivamente "infantile", in realtà veicolo di trasmissione di una cultura straordinariamente articolata e misteriosa. La dedica iniziale del libro («Ai miei genitori, che mi hanno sempre lasciato guardare i cartoni - e mi hanno insegnato ad amare la vita») non potrebbe, in tal senso, suonare più illuminante ed istruttiva.

Roberto Pugliese