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Articolo sul trennennale di Goldrake in Italia
n° 16 del 2008

Trascrizione dell'articolo
Goldrake compie 30 anni e non fa più paura Intervista esclusiva a Go Nagai, il papà del primo robot Giapponese trasmesso dalla Rai
08/04/2008
di Francesca Fornario

Quel pomeriggio del 4 aprile 1978, centinaia di telefonate hanno intasato il centralino della Rai. Chi era quel mostro d’acciaio che si agitava sulla Seconda Rete? Gli adulti (alcuni) si mostravano preoccupati, i giovani (tutti), entusiasti. Così ha avuto inizio di un dibattito ancora in corso: i cartoni giapponesi sono troppo violenti? A rivedere dopo 30 anni quel «Goldrake», il primo robot giapponese sbarcato sulla tv nazionale, ci si accorge che la rappresentazione della brutalità umana serve a trasmettere un messaggio tutt’altro che violento. Lo spiega a «Sorrisi» Go Nagai, papà della serie Goldrake (che ora esce, completamente restaurata, in dvd) e di altri celebri robot come «Mazinga» e «Jeeg», protagonista di un remake appena trasmesso in Giappone. I tre robot, racconta Go Nagai, erano in realtà parte di un’unica saga. Ma in Italia hanno fatto un pasticcio…

Come è nata l'ispirazione per «Goldrake»? Ha attinto anche alla sua passione per «La Divina Commedia» di Dante?
[GN]«Goldrake» è in origine il terzo capitolo di una saga che comincia con «Mazinger Z» e continua con «Il Grande Mazinger». Se consideriamo anche gli «spin-off», l’intera saga comprende sei serie, tra le quali anche «Jeeg Robot». Tuttavia so che in Italia sono state trasmesse come se fossero ognuna indipendente dall’altra e addirittura in ordine inverso rispetto a quello con cui furono concepite. Mi è anche stato riferito che alcuni personaggi in comune tra le varie serie, nel vostro Paese furono chiamati in modo differente da cartone a cartone: per esempio, il pilota di Mazinger Z fu battezzato Alcor in «Goldrake», Koji ne «Il Grande Mazinger» e Rio in «Mazinger Z». Le conseguenze di ciò furono che molti italiani criticarono i miei cartoni animati perché li trovavano ripetitivi e i personaggi si assomigliavano. Purtroppo chi faceva queste osservazioni non poteva immaginare che quelli che in Italia venivano chiamati in modo differente erano in realtà un solo personaggio, o che le storie mostravano una certa somiglianza solo perché erano tutti diversi episodi della medesima saga! Tornando alle origini di Goldrake, l’idea di un robot pilotato da un uomo seduto al suo interno nacque quando assistii a un imbottigliamento stradale e immaginai che dall’auto in fondo alla colonna uscissero braccia e gambe e cominciasse a scavalcare le vetture che la precedevano. Da questa intuizione di un robot che si «guidava» come un’automobile nacque «Mazinger Z»; il suo successore fu «Il Grande Mazinger» e quindi nacque «Goldrake», che univa all’idea del robot gigante quella degli Ufo, tema verso il quale c’era un grandissimo interesse verso la metà degli anni Settanta. Quanto alle influenze occidentali, amo molto la mitologia greca e latina e i classici della letteratura italiana, come «La Divina Commedia» che ho anche trasposto in manga; tuttavia nel caso di Goldrake queste influenze sono molto limitate e il suo design si ispira molto più alle armature degli antichi guerrieri giapponesi che non a motivi europei.

In «Goldrake», come in «Jeeg», le giovani generazioni di terrestri devono porre rimedio ai danni provocati dagli adulti. Qual è il significato di questa scelta?
[GN] Il messaggio in comune a tutte le mie serie è che il mondo degli adulti riserba grandi sfide, sofferenze e avversità, e che quindi i giovani devono trovare il coraggio e la forza di affrontarle e di combattere le ingiustizie senza mai perdere di vista i propri ideali e i propri principi morali. I giovani hanno un forte senso della giustizia e della fratellanza, ma purtroppo quando si diventa adulti ci si abitua ai compromessi, ai pregiudizi, alla discriminazione. Per questo nei miei manga la potenzialità di cambiare il mondo è riposta nelle mani dei giovani, siano essi terrestri come il pilota di Mazinger Z, extraterrestri come Actarus di «Goldrake» o esseri umani che però sono stati trasformati in macchine come Hiroshi di «Jeeg Robot».

Quando «Goldrake» è arrivato in Italia, è stato accusato di essere un cartone troppo violento, e di istigare alla violenza i bambini. Ha ricevuto la stessa accoglienza in Giappone? Come risponde a queste accuse? Che valore aveva quella rappresentazione della violenza?
[GN]Credo che in Italia «Goldrake» abbia ricevuto una tale accoglienza soprattutto perché fu il primo cartone animato giapponese ad andare in onda, e utilizzava stilemi nuovi, addirittura rivoluzionari per il pubblico italiano. Come tutte le cose nuove, venne dunque accolto con sospetto e avversione, cosa che in Giappone non accadde. In realtà la rappresentazione della violenza in «Goldrake» è legata a doppio filo con la necessità di trasmettere in modo convincente il messaggio che citavo nella risposta precedente: la società degli adulti è spesso ingiusta, violenta, discriminatoria, immorale; ma è un ambiente in cui chi oggi è bambino dovrà comunque entrare. Non ritengo adeguato allevare i nostri figli nella bambagia, perché una volta diventati adulti si troveranno ad affrontare un mondo che non è certo tutto rose e fiori; e un bambino che non conosce gli effetti della violenza, il dolore che può causare l’umiliazione del prossimo, la catena d’odio che può generare la sopraffazione, rischia di ricorrere a questi orribili espedienti senza rendersi conto di quanto essi siano atroci. Nei miei cartoni la violenza è usata per mostrare il dolore di chi la subisce; quando Actarus soffre a causa della brutalità degli invasori, i bambini soffrono con lui, e imparano così che la prepotenza causa solo disperazione. Non è un caso che nei miei cartoni la violenza venga sempre dagli adulti e che i giovani oppongano a essa la forza gli ideali, la determinazione, l’amicizia e lo spirito di gruppo. Così come non considero un caso che Goldrake, Mazinger e gli altri miei personaggi, che combattono per la libertà e l’autodeterminazione, abbiano avuto un’accoglienza incredibile in Paesi come l’Italia o la Francia, che hanno affrontato nell’ultimo secolo sanguinose guerre di resistenza e i cui abitanti hanno imparato con le lacrime e il dolore l’importanza di questi ideali.

In Italia, la polemica sui cartoni violenti non si è mai spenta. Prima era «Goldrake», poi «Dragon Ball» e i videogame. Qual è la sua opinione in proposito? La violenza rappresentata oggi nei cartoni animati è eccessiva, può essere nociva? E quella dei videogame, o di altri programmi televisivi?
[GN]Credo che si debba distinguere tra la violenza a livello grafico, fine a se stessa, e quella che sottende invece un messaggio preciso. Come dicevo, nei miei cartoni animati la violenza è una rappresentazione del dolore e delle ingiustizie che l’umanità rischia di soffrire quando perde di vista ideali come la giustizia e la fratellanza. Dai miei numerosi incontri col pubblico italiano ho avuto il piacere di constatare che i miei fan, che erano bambini quando guardavano «Goldrake» o «Jeeg Robot» in televisione, hanno saputo cogliere perfettamente questo messaggio e riconoscere la superficialità dei commenti di chi accusava quei personaggi di essere violenti. Detto questo, non posso fare a meno di constatare che negli ultimi anni c’è stata un’escalation nella rappresentazione della violenza fine a se stessa, slegata da qualsiasi messaggio. La violenza, la brutalità, la coercizione non sono e non possono mai essere valori «positivi». Ma purtroppo, quando manca un messaggio di fondo o la presenza di un genitore o di un educatore che aiuti i più piccoli a comprendere le conseguenze dei comportamenti violenti, rischiamo di creare giovani incapaci di interelazionarsi con gli altri. Ritengo comunque che sia necessario non fare di tutta l’erba un fascio: anche la Bibbia narra episodi di efferata violenza come quello di Caino e Abele, ma quella rappresentazione cruda della brutalità umana è funzionale alla trasmissione di un messaggio di pace. Allo stesso modo, quando si analizza un film o un cartone animato, bisogna sempre saper valutare con attenzione qual è il messaggio che esso sottende, senza soffermarsi al solo livello grafico.

«Goldrake» e «Jeeg» sono i prototipi della fantascienza robotica in tv. immaginava che avrebbero aperto la strada a un genere? Come giudica le evoluzioni, per esempio i «Transformers»?
[GN]Sinceramente non mi aspettavo un simile successo. Come dicevo, da «Mazinger Z» fino a «Jeeg Robot», passando per «Goldrake» o «Getter Robot» («Space Robot« in Italia), tutti i miei personaggi si muovono all’interno dello stesso universo, spesso interagendo tra loro; non mi sarei mai aspettato che altri autori avrebbero ripreso il medesimo concetto per creare nuove serie o nuovi universi. Riguardo ai «Transformers», sono personaggi che condividono con i miei il concetto del robot gigante, ma che essenzialmente sono privi dell’elemento che invece per me è fondamentale, vale a dire la presenza di un essere umano che li pilota. Fondamentale perché è l’uomo a dare l’anima al robot: Goldrake è il difensore della giustizia perché a pilotarlo è un giovane coraggioso e integerrimo come Actarus, ma se alla guida ci fosse una persona malvagia, si trasformerebbe in un demone distruttore. E qui mi ricollego all’importanza del messaggio che intendo trasmettere: quando ci si trova ad avere tra le mani una potenza incredibile come quella di Goldrake, è solo la fermezza dei propri ideali a determinare se si diventerà un despota o un benefattore.

La fantascienza robotica ha ceduto il posto al Fantasy. Secondo lei, perché? Quale pensa che sarà la prossima evoluzione?
[GN]Direi che la fantascienza in generale ha sofferto un forte calo di interesse, che credo sia dovuto a diversi fattori: per esempio, gran parte della fantascienza del secolo scorso guardava al 2000 come anno di svolta, in cui il mondo sarebbe diventato un paradiso pacifico governato dalla tecnologia. In realtà, arrivati al 2000, ci siamo accorti tutti che la realtà non era molto diversa da come lo è stata fino al 1999; inoltre il fatto che, nonostante l’evoluzione della scienza e della tecnologia, gravi problemi come la fame, la povertà, i diritti civili e la libertà dei popoli non sono ancora stati risolti e che sui nostri figli pende la spada di Damocle del disastro ambientale, ha portato gli uomini a nutrire un forte pessimismo verso il futuro. Quindi, se una volta la speranza di un mondo migliore era affidata al «futuro» narrato nei racconti di fantascienza, ora ci ritroviamo a proiettare le nostre speranze in mondi completamente e consapevolmente di fantasia. Purtroppo queste forme di «fuga dalla realtà« sono sempre più frequenti nell’entertainment e nei gusti del pubblico e dubito che, fintanto che sarà il pessimismo a dominare la nostra visione del mondo, ci saranno grandi cambiamenti o evoluzioni.

Cosa pensa dei film di Walt Disney, e dei nuovi lungometraggi in 3d della Pixar? Qual è il futuro dei cartoni animati, il 3d?
[GN]Sono tecnologie incredibili, che lasciano spazio a infinite potenzialità. In Giappone ci si è mantenuti più legati a una rappresentazione bidimensionale, credo anche per retaggio culturale: mentre in Europa si studiava la prospettiva, nel mio paese si evolveva uno stile semplificato e lineare che avrebbe portato alle famose «stampe giapponesi«. Noi orientali tendiamo a «ridurre« la realtà in un numero il più possibile limitato di segni, disposizione mentale che ci ha portati anche a sviluppare le microtecnologie; in occidente si persegue invece la riproduzione fedele della realtà. Sono due concezioni dell’arte che hanno entrambe pregi innegabili e limiti invalicabili, perciò è davvero impossibile determinare quale delle due sia migliore.

(Tv Sorrisi e Canzoni n.16 - 2008)