Una Nuova Era
Una nuova saga, una nuova generazione, una nuova era per il genere robotico!

SaotomeMondo


Capitolo 1 Erano passati due anni da quando Duke Fleed e Maria erano tornati sul loro pianeta natale, Fleed. Quando erano partiti, era ancora tutto da ricostruitre. Il pianeta era si tornato alla vita, ma a causa delle fortissime radiazioni di Vegatron c’era il rischio di pericolosissime mutazioni. E in certe aree del pianeta, per di più, le radiazioni non erano ancora scomparse del tutto. Duke si era dato da fare, per richiamare sul pianeta, ormai rinato, tutti i sopravvissuti fleediani che si trovavano ai quattro angoli di quello che una volta era stato il vastissimo regno di Vega. Non solo i fleediani avevano risposto. Altre popolazioni umanoidi, il cui pianeta era caduto in rovina a causa dei crudeli veghiani, avevano accolto l’appello di Duke. Fleed era tornato ad essere un pianeta popolato. Tra i nuovi abitanti, vi erano scienziati, filosofi ed intellettuali, che avevano dato nuova linfa alla società ed alla cultura di Fleed. La più importante delle scoperte, o, per meglio dire, delle ri-scoperte, era stato il processo di immagazzinamento del foto quantum, l’energia che faceva muovere Grendizer. Una energia assolutamente pulita e non inquinante, e che permetteva addirittura di coprire distanze enormi nello spazio in pochissimo tempo. Nonostante questo, però, il pianeta aveva ancora bisogno di tantissime cose: viveri, medicinali, macchinari da costruzione, elementi chimici per eliminare la radioattività che solo in determinate zone dello spazio si potevano trovare. La Terra era stata la prima ad offrire il suo aiuto agli alleati fleediani, memore del grosso debito che avevano con il principe di Fleed, Duke, da loro conosciuto come Daisuke Umon. Il dottor Umon, il padre adottivo di Duke era il depositario del progetto del motore iperspaziale, progettato dagli scienziati fleediani , gelosamente custodito all’interno del suo laboratorio. Ed era proprio per portare viveri e materiali su Fleed, che era stata costruita la primissima nave spaziale terrestre, la Hikarimaru. Al varo della Hikarimaru avevano assistito le più alte autorità della Terra. Era stata realizzata anche con la collaborazione del professor Yumi e dell’Istituto per le Ricerche sulla Foto Potenza del monte Fuji, e grazie ai finanziamenti di molte nazioni. Ora la Hikarimaru stava viaggiando nello spazio. A pilotarla era Koji Kabuto, che per due anni si era allenato da astronauta per poter raggiungere Fleed, per portare aiuto all’amico di un tempo e soprattutto per….rincontrare Maria. Non un solo giorno di quei due anni era passato senza che lui la ricordasse, o la rincontrasse in sogno. E ora poteva finalmente rivederla. Tre mesi. Solo tre mesi lo separavano ormai da Maria. Il primo carico della Hikarimaru era davvero molto importante, anzi essenziale per la ricostruzione di Fleed: vi erano stipati quintali e quintali di viveri, medicinali, macchine agricole e quant’altro. Ma c’era anche dell’altro. Nella stiva centrale, la più protetta di tutta l'astronave, erano alloggiati Mazinga Z, il robot di Koji, il primo invincibile robot terrestre, e i tre Spiacer che durante la guerra con Vega avevano fatto da supporto a Grendizer. E…..c’era un regalo per Maria….un grosso regalo.

La Hikarimaru stava avanzando nello spazio. Sembrava che stesse procedendo alla velocità di una tartaruga. Ma invece stava navigando tra le pieghe dello spazio e del tempo grazie alla navigazione iperspaziale. Finalmente la nave uscì dal warp. Koji, che in quel momento stava mangiando, sentì l’allarme dalla cabina di comando. Guardò il suo orologio da polso. “Ops….è ora di fare rapporto al dott. Umon.”

Capitolo 2
Koji, ora seduto in sala comunicazioni, premette due tasti e spinse due levette sulla consolle, poi si mise al microfono. “Hikarimaru chiama Laboratorio delle Scienze Spaziali, Hikarimaru chiama Laboratorio delle Scienze Spaziali. Mi ricevete? Cambio!” Dallo schermo posto di fronte a lui, nessuna risposta. Solo neve e strisce grigie. Koji insistette. “Hikarimaru chiama Laboratorio delle Scienze Spaziali, Hikarimaru chiama Laboratorio delle Scienze Spaziali. Mi ricevete? Cambio!” Stavolta lo schermo baluginò per un attimo, poi, lentamente, l’immagine prese a formarsi sullo schermo. Il monitor era ora occupato dal volto, sorridente, del dottor Umon. “Qui Laboratorio delle Scienze Spaziali. Ti riceviamo perfettamente Hikarimaru, cambio!” Il collegamento era perfettamente avvenuto. Ormai erano quasi passati due mesi da quando la Hikarimaru era partita dalla Terra, ma quello era il primo collegamento per le comunicazioni effettuato dopo quasi cinque settimane. Dopo i primi giorni di frequenti contatti, infatti, la Hikarimaru aveva incominciato la sua procedura di balzi nell’iperspazio, a breve distanza uno dall’altro, e solo ora, dopo tanta strada percorsa, poteva fermarsi per un tempo più prolungato, e tentare una comunicazione sub spaziale. Una procedura che richiedeva davvero molta energia. L’uscita dall’ultimo balzo era avvenuta nei pressi di un piccolo sistema stellare. La nave sarebbe stata ferma qualche ora per ricaricare le pile di fotoquantum, direttamente dal sole di quel piccolo sistema, e ciò avrebbe permesso anche di tentare la comunicazione con la Terra.

“Come vanno le cose, la sulla Terra?” chiese Koji al dott. Umon. “Qui procede tutto bene. Nessuna nuova minaccia per il momento.” “E come sta il vecchio Danbei?” “Lui sta bene. E’ scatenato come al solito. Non riesce a stare fermo nemmeno con una gamba rotta. Per fortuna c’è Hikaru che si prende cura di lui.”

‘Povera Hikaru – pensò Koji tra se – ha sopportato tutta l’enorme fatica dell’allenamento per il viaggio stellare, per poter rivedere Duke, e un mese dalla partenza ha dovuto rinunciarvi. Dambei è caduto tentando di domare un cavallo selvaggio appena catturato e si è rotto una gamba.’

Hikaru, infatti, non se l’era sentita di abbandonare il padre, Goro e la fattoria a loro stessi, e così aveva rinunciato a quel viaggio. Ma aveva lasciato a Koji un messaggio registrato per Duke.

‘Per fortuna, almeno c’è Midori ad aiutarla. E anche Yuki e Koichi, del vicino ranch Watari, vengono ogni tanto a dare una mano.’

Midori, che già era stata coinvolta in un incidente con i veghiani durante la guerra, dopo la morte del fratello era andata ad abitare con alcuni zii, che si erano da poco trasferiti nelle vicinanze della fattoria. Midori andava ogni giorno alla fattoria Shirakaba, per dare una mano a Hikaru e a Goro.

“Koji, - si fece sentire la voce del dottore nello schermo – Ci sono qui alcune persone che vogliono salutarti e augurarti buon viaggio.” Il dottore si alzò e fece posto a Hikaru, Goro e Midori. La prima a parlare fu Hikaru, sorridente come sempre. “Ciao Koji, allora come te la passi li nello spazio?” “Bene. Quasi non mi sembra vero che sono passati già due mesi. E tu, come te la passi, laggiù, al ranch?” Hikaru sospirò, come rassegnata “E’ tutto nella norma.” “Goro, stai aiutando tua sorella come un bravo ometto, vero?” “Certo – rispose il piccolo – sono adulto ormai” “Bravo. E cerca di non far arrabbiare Midori e tua sorella.” “Si certo.” “Non ti preoccupare - continuò Midori – qui ci pensiamo noi. Il piccolo Goro ricordava a Koji il suo fratellino Shiro, che ora si trovava alla fortezza delle scienze assieme a Tetsuya e Jun. Umon riprese la parola. “Ci sono anche altre persone che vogliono salutarti, aspetta che cambio canale”. Lo schermo baluginò nuovamente, e di nuovo le immagini cominciarono a formarsi. Stavolta al posto del professor Umon c’era il professro Yumi, direttamente dall’Istituto per la Ricerca sulla Foto Potenza. “Buongiorno Koji.” “Professor Yumi. E’ un paicere vederla. Come sta?” “Qui stiamo tutti bene. Ogni giorno scopriamo nuove possibili applicazioni per l’energia fotoquantum. E’ davvero una scoperta incredibile.” “E….ehm….Sayaka come sta?” Il dottor Yumi, leggermente imbarazzato, rispose “Sta bene, come sempre.” ‘Ma non ha voluto salutarmi oggi’ pensò Koji tra se. Da quando aveva saputo di Maria, i rapporti tra Sayaka e Koji si erano del tutto incrinati. Quando poi Koji aveva preparato il regalo per Maria, la discussione che ne era nata si era protratta per giorni e giorni. Sayaka si era opposta con tutte le sue forze. Tra Koji e Sayaka, forse, si era creato un abisso incolmabile. Koji sospirò. Nuovamente, lo schermo diventò grigio. Un nuovo cambiamento di canale. “Yo, casanova dello spazio.” Sullo schermo stavolta c’era il volto sorridente e canzonatorio di Tetsuya Tsurugi. Tetsuya sapeva benissimo che il motivo che aveva spinto Koji a quel viaggio non era certo la diplomazia spaziale, ma una certa fanciulla…. “Tetsuya. E Jun.” Poco distante da loro, Koji intravide anche il fratellino Shiro. “Come vanno le cose li? Shiro vi fa arrabbiare?” “No per niente. E’ bravissimo. Da quando sei partito prende sempre ottimi voti a scuola. E’ determinato a diventare come te.” Da dietro Tetsuya, Shiro si fece largo verso il microfono. “Forza fratello. Siamo tutti con te.” “Grazie Shiro. Mi raccomando, fai il bravo e non far arrabbiare Tetsuya e Jun.” “Vai tranquillo e non preoccuparti di nulla” arrivò la voce rassicurante di Jun. “Ma certo – le fece eco Tetsuya – alla Terra ci pensano il Great Mazinger e Venus Ace, hahahaha.” Era strano, per Koji, vedere quella macchina da combattimento che era Tetsuya allegro. Aveva preso il posto di suo padre, di Kenzo Kabuto, alla guida della Fortezza delle Scienze, facendo da supporto al professor Yumi che ne era il direttore ufficiale. Forse aveva trovato nella pace un nuovo scopo per cui vivere. “Ehi, non ti starai dimenticando di qualcuno, Tetsuya?” emerse un’altra voce nota dal microfono. L’immagine cambiò nuovamente, mostrando stavolta la faccia oscura della luna. Dove una volta c’era la base Skullmoon dei Veghiani, un esercito di Proto Getter stava costruendo quella che aveva tutta l’aria di essere una versione fortificata del laboratorio Saotome, sotto la guida del Getter G e della Getta Q. “Ryo.” Il volto allegro di Ryoma Nagare apparve sullo schermo. “Come vedi, anche la costruzione della fortezza lunare sta procedendo a gonfie vele. Finalmente anche il Getter viene usato per il progresso dell’umanità.” “Vedo vedo. Avete anche riattivato Getter Q. Chi lo pilota?” “Indovina.”risuonò la voce di Michiru nello speaker. “L’avevo immaginato.” Disse Koji sorridendo. “Beh Koji, - intervenne Hayato - A questo punto, non mi resta da dirti altro che buon lavoro. La pace interstellare, ormai, è in mano tua. Buon viaggio, coraggioso pilota del Mazinger Z.” Il tono di Hayato era stato quasi canzonatorio. Su questa nota lo schermo baluginò di nuovo, per tornare ad inquadrare, prima della chiusura della trasmissione, il Laboratorio per le Scienze Spaziali. “Qui Hikarimaru. Chiudo le trasmissioni e riprendo il viaggio.” Koji spense lo schermo. Le batterie dell’astronave ormai erano completamente cariche. Il viaggio poteva continuare. Ad occhio e croce, ormai, doveva trovarsi all’ingresso della Nebulosa di Vega. Ancora qualche settimana di viaggio e sarebbe arrivato su Fleed. “Yaaawn”….forse era l’ora di concedersi un riposino. Non ce ne fu il tempo. L’allarme risuonò nella cabina della Hikarimaru. La voce del computer di bordo si fece sentire dagli altoparlanti sparsi in tutta la nave. “Red Alert. Red Alert. Unknowns approaching ship.”

Capitolo 3
Mentre si dirigeva verso la sala controllo, Koji diede un ordine secco al computer della Hikarimaru. “Attivare barriera fotonica.” Dopo alcuni secondi di silenzio, il computer centrale della nave diede la sua risposta “Eseguito.” Finalmente Koji raggiunse la sala di controllo, il cuore stesso della nave. Si sedette al suo posto. “Inquadrami questi unknowns sullo schermo principale.” Lo schermo, che fino ad allora era spento, baluginò per un attimo. Poi si accese. Quello che le telecamere avevano inquadrato era una astronave dell’esercito di Vega, classe mothership, con il suo caratteristico colore rosa, molto simile a quella che durante la guerra era appartenuta al capitano Blacky. “Pirati dello spazio!” Erano rimasugli dell’esercito di Vega che non si erano rassegnati alla sconfitta, ed ora campavano compiendo atti di piraterie, depredando le astronavi mercantili che entravano nella nebulosa. La mothership intanto aveva continuato ad avvicinarsi e si fermò a qualche kilometro dalla Hikarimaru. “Duke mi aveva avvertito che questa zona era infestata da pirati. Bhe, troveranno pane per i loro denti.” Koji non aveva finito di pronunciare queste parole che la mothership cominciò a vomitare miniufo. La squadriglia era costituita da una quarantina circa di dischi. Costoro, avvicinatisi alla Hikarimaru a grande velocità, fecero fuoco con i loro lanciaraggi vegatron. I raggi si infransero sulla barriera fotonica della Hikarimaru senza causare alcun danno. Ogni volta che un raggio vegatron colpiva la barriera, questa si illuminava debolmente, mostrando un effetto di luce come quando si butta un sasso in uno stagno quieto. “Avete sottovalutato la mia astronave Hikarimaru.” Koji premette alcuni pulsanti sul pannello di controllo. Dei bocchettoni si aprirono sui due lati dell’astronave. “Cutter Barrel! Fuoco!” Dai bocchettoni fuoriuscì una pioggia di lame cicloniche che si diresse subito verso i miniufo. Circa una decina di essi caddero, trafitti dalle micidiali lame. Koji diede un secondo ordine. “Raffica di missili fotonici! Fuoco!” Una salva di missili fotonici a ricerca automatica del bersaglio partì da altri bocchettoni che si erano aperti nello scafo della Hikarimaru. Altri 15 minidischi sparirono esplodendo. Koji diede un ulteriore ordine: “Armare cannoni fotonici! Puntare e…..fuoco!” I raggi fotonici baluginarono per pochi istanti nello spazio, come fulmini nella notte. Altri minidischi esplosero.

Dentro la motrhership di Vega, ormai era il panico tra i pirati. “Comandante, ma quella non doveva essere una nave mercantile? E’ una autentica fortezza viaggiante.” “Stai calmo. Nessuno si faccia prendere dal panico.” Nonostante l’apparente calma, il comandante della mothership non era per niente tranquillo ‘Non erano queste le informazioni che mi avevi passato, dannato duca Narkis.’ Restò ancora per qualche secondo in silenzio. Pensando sul da farsi. L’unico modo che avevano per cavarsi da quell’impiccio era di usare il mostro di Vega. “E va bene. Non c’è altra scelta. Fate uscire il mostro di Vega Girgil.”

Sulla Hikarimaru, intanto, Koji aveva deciso di dare personalmente il colpo di grazia ai pirati spaziali. Aveva raggiunto la stiva. Era salito sul Jet Pilder. Quando la cupola del Pilder si era richiusa sopra di lui, Koji aveva udito la voce del computer nel piccolo altoparlante del Pilder. “Canopy pressure. Autolock. Completed. Oxygen emission. Depleted.” Koji girò la chiavetta di accensione del Pilder. “Jet Pilder, motori accesi. Salita.” Il Jet Pilder, sospinto dall’elica posta sotto di esso, si alzò in verticale, risalendo lungo il corpo di Mazinger Z, e posizionandosi sopra la testa, pronto per l’agganciamento. “Pilder On!” Il Pilder planò dolcemente nella testa del robot. Il computer della nave, intanto, aveva cominciato le operazioni di spostamento della stiva centrale. L’astronave era stata progettata in modo che tutte le sue stive fossero come un gigantesco puzzle, e potessero essere spostate automaticamente a seconda delle necessità. Un’altra trovata di quel geniaccio di Umon. Da dentro il Pilder Koji vide il soffitto della stiva aprirsi. “Mazin…..GOOOOO!” La piattaforma su cui poggiava Mazinger Z si sollevò, fino a portare fuori il robot dall’astronave. E proprio in quel momento Koji sentì una voce dentro la sua testa.. Una voce implorante. “Ti prego.” Diceva. “Ma cosa?” Koji era disorientato. Non c’era nessuno intorno a lui, eppure era sicuro di aver sentito una voce. “Ti prego…” continuava a dire quella voce nella testa di Koji. Intanto la stiva della mothership veghiana si era aperta, e da essa era fuoriuscito un disco. “Liberami…” disse intanto la voce nella testa di Koji. “Liberami da questa sofferenza….” Koji scosse la testa. Cosa era quella voce. Il disco mostro di vega si aprì. Lo spettacolo che si presentò agli occhi di Koji era davvero raccapricciante. Una enorme tartaruga, ancora non completamente trasformata in robot. Nonostante il guscio fosse stato trasformato completamente in disco, una zampa posteriore, una anteriore, il collo e metà della testa erano ancora organici. Il metallo era stato innestato nella carne viva e in molti punti fili e circuiti erano ancora scoperti. Il mostro tartaruga assalì subito Mazinger Z con una fiammata che gli partì dalla bocca. Koji, ancora spiazzato da quella strana voce che aveva sentito non reagì. Il calore non era tale da recare danni alla superlega NZ con cui Mazinger era costruito, ma all’interno del Pilder Koji ne sentì tutto il calore. “Ti prego, liberami da questa sofferenza….” Continuava a dire la voce nella sua testa. Approfittando del momento di distrazione di Mazinger, la tartaruga Girgil si avventò su di lui, tempestandolo con le sue fiamme. E solo allora, quando furono a contatto Koji vide. L’occhio, ancora organico, l’occhio ancora vivo. Quella tartaruga….stava piangendo. “Liberami da questa sofferenza…..ti prego….” La mente di Koji fu letteralmente invasa dalle immagini della vita del suo avversario cibernetico. La nascita, in un pianeta vicino a dove si trovavano in quel momento, la sua crescita, le prime esperienze, imparare a distinguere le erbe buone da quelle cattive, l’affetto dei genitori….la crescita, l’uscita dal nido….la prima avventura in acqua…la compagna, incontrata dopo tante peregrinazioni…..la gioia per la covata….la cattura, da parte dei veghiani con dei terribili arpioni radioattivi che tanto dolore gli avevano procurato…..gli innesti cibernetici, snenza che nemmeno lui fosse addormentato….Koji vide tutto questo, e per un istante gli sembrò che la testa gli scoppiasse da un momento all’altro. “Ti prego. Poni fine alle mie sofferenze. Tu puoi, giovane umano coraggioso…” La voce che gli era risuonata in testa era quella di quel povero rettile, cosi atrocemente torturato da quei barbari pirati. Per qualche strano motivo, quella bestia aveva sviluppato delle facoltà telepatiche. Koji urlò. Le lacrime cominciarono a scendere copiose dai suoi occhi. “Che…Che cosa…devo fare?” gridò. “Distruggi la centralina di controllo posta sopra la mia testa” rispose la voce, mandandogli l’immagine del meccanismo. “Ma è collegata al tuo cervello. Così morirai anche tu.” Obiettò Koji “Pensi che potrei continuare a vivere ridotto cosi? Guardami. Ormai sono solo un cadavere che cammina. Ti prego, giovane terrestre. Dammi la pace.” Koji non esitò più. Premette un pulsante sulla consolle. Gli Iron Cutters fuoriuscirono dal polso destro dello Z. “Gyaaaaaaaaaaaaah!” Koji vibrò un fendente con il braccio, disintegrando in mille pezzi la centralina di comando posta sulla testa del povero rettile. Questi mollò la presa dal Mazinga Z e si accasciò sul ponte dell’astronave. Mazinger Zeta si inginocchiò davanti a lui. La povera bestia stava ancora tremando, la mano protesa per lo spasmo di dolore. Mazinger Z prese la mano del rettile nella sua. Una stretta fredda, metallica, eppure più piena di calore umano e di comprensione di qualunque altra. Il rettile piano piano chiuse gli occhi. La mano smise di tremare. Poi non si mosse più. Era morto. Aveva finalmente raggiunto la pace che tanto aveva desiderato. Koji si sentì invadere dalla rabbia. Mazinger Z si rialzò lentamente, e si voltò, verso la mothership. “Maledetti pirati. Avete ucciso una creatura innocente. Pagherete per tutti i vostri misfatti!” Mazinga Zeta spiccò un balzo verso la mothership. Era nello spazio, e quindi anche i piccoli propulsori posti sotto i piedi bastavano per muoversi in assenza di gravità.

Dentro l’astronave, il comandante dei pirati comprese che non c’era più molta speranza per lui. L’aura emanata dal Mazinga Z era di odio puro verso di loro. “La…lanciate i midiufo….ordinò il comandante.” La mothership vomitò una squadriglia di midufo, pronti ad attaccare Mazinger Z. Ma questi, non fece altro che piegare le braccia, scoprendo le bocche da fuoco dei Drill Missile. Una pioggia di missili partì dai gomiti dello Z. I midiufo furono letteralmente spazzati via. “Sparite, insetti! Non è voi che voglio!” Dentro l’astronave, il comandante, sempre più in preda al panico, diede un nuovo ordine. “Fuo…fuori il robot da combattimento.” Il portellone della mothership si aprì di nuovo, vomitando un altro disco da combattimento, che subito si trasformò, assumendo l’aspetto di un robot da battaglia, di forma antropomorfa. Mazinger non gli diede neanche il tempo di reagire. Lo tempestò di calci, di pugni, di colpi. La corazza del robot si spaccò in vari punti, tanta era la forza che la rabbia di Koji conferiva allo Z. “Sparisci! Breast Fireeeeee!” Le piastre pettorali di Mazinger Z si illuminarono per un secondo, prima di emettere il mortale raggio di calore, che centrò in pieno il robot nemico. Questi si squagliò in pochi secondi come neve al sole. Senza più ostacoli di sorta davanti a se, Mazinger Z ora se la prese con la mothership….diede una spallata, due, tre… Dentro l’astronave i pirati stavano cadendo a terra come pere marce. Non riuscivano a rialzarsi che di nuovo cadevano. Poi, Koji diede un ordine al computer della Hikarimaru. “Computer. Lanciami il Jet Scrander e il Double Spacer.” Alcune tecnologie di Grendizer erano state integrate nei due Mazinger. Tra queste, anche la possibilità di comandare i vari “attachment” a distanza, facendoli muovere indipendentemente dal robot, come succedeva per lo Spacer di Grendizer. I due velivolo lasciarono l’hangar dell’astronave, e si affiancarono a Mazinger Z. Z indicò l’astronave nemica con un dito. Lo Scrander partì a folle velocità e tranciò prima la torretta di sotto e poi quella di sopra della mothership, con le sue taglientissime ali. Ora l’astronave non aveva più alcuna stabilità. Poi, postosi dietro al Double Spacer, ne afferrò le ali, usandolo come se fosse un enorme cannone. “Double Cutter! Double Missile! Cyclon Beam! » Le tre armi del Double Spacer fecero fuoco contemporaneamente. Il double cutter squarciò lo scafo della nave. Dallo squarcio entrarono i double missile che esplosero all’interno. Il cyclone beam terminò il lavoro. Un’esplosione sconvolse la mothership, che tuttavia non era ancora stata completamente distrutta. Koji si avvicinò con lo Z. “Breast Fireee….” Di nuovo il micidiale raggio calorifico partì dalle piastre dello Z, investendo in pieno la mothership, proprio nella zona dove era situato il propulsore vegatron. La mothership esplose in mille pezzi, diventando polvere cosmica. Ma un midifo era riuscito a lasciare l’astronave un attimo prima dell’esplosione. Una figura osservava nell’ombra. “Dannatissimo Koji Kabuto. Ma non è finita qui.”

Sul pianeta dove abitavano le tartarughe giganti, era ormai il tramonto quando la sagoma della Hikarimaru fece la sua comparsa nel cielo. Tutti gli animali si ridestarono dalle loro faccende, preoccupati. Videro Mazinger Z scendere dal cielo planando, con lo scrander agganciato sulla schiena. In braccio aveva il corpo morto di Girgil. Mazinger atterrò. Poso dolcemente il corpo a terra. Le tartarughe giganti si avvicinarono a lui. Tra di esse Koji riconobbe la compagna e la discendenza di Girgil. “Riposa in pace sul tuo pianeta.” Mazinger Z decollò, tornò alla Hikarimaru, che ben presto scomparve nel cielo. Il viaggio verso Fleed doveva continuare.

Capitolo 4
Finalmente il viaggio era terminato. Dopo la faccenda dei pirati, e la breve deviazione per riporatare il corpo del povero Girgil, sul suo pianeta, tutto era filato liscio. Nel complesso, Koji era in ritardo di soli quattro giorni sulla tabella di marcia. La Hikarimaru era ora in prossimità di Fleed. Quegli ultimi giorni, Koji aveva dormito più tranquillo, più rilassato. Non sapeva spiegarsi questa sensazione. Maria gli era apparsa in sogno più volte, quasi che stessero comunicando telepaticamente. Certo era, comunque, che non vedeva l’ora di rivederla. A un giorno di distanza dal pianeta, Koji riuscì a vedere, grazie al piccolo telescopio installato sulla nave, quale fosse l’aspetto di Fleed. Era completamente diverso da come se l’era immaginato. Il pianeta, di per se, era bellissimo, di un azzurro e verde stupendi, in tutto e per tutto simile alla Terra. Ma era circondato da un anello, molto simile a quelli del pianeta Saturno. Mettendo meglio a fuoco, però, Koji si accorse che quelli non erano affatto meteoriti. Era una immensa cintura orbitale, costituita da numerosi satelliti artificiali. Intorno ad essi, astronavi di tutti i tipi entravano e uscivano dal pianeta. Koji sapeva che Fleed era diventato una specie di “porto spaziale”, ma non avrebbe mai potuto immaginare che si fosse arrivati ad un tale stato avanzato di tecnologie e commercio. Al di fuori dell’orbital ring, centinaia e centinaia di astronavi stavano aspettando il loro turno per passare sotto i severi controlli dei sensori dei satelliti, e poter atterrare su Fleed. Koji si rassegnò. Doveva mettersi in fila. Fu tentato di usare i comunicatori della nave per provare a comunicare con Fleed, ma alla fine decise di non farlo. Il suo arrivo poteva essere una piacevole sorpresa per Duke, e , soprattutto, per Maria. Avvicinatosi all’anello, Koji, osservando il terminale del suo computer, notò che i sensori della cintura satellitare si erano agganciati alla sua nave. Un messaggio comparve sullo schermo: Siamo spiacenti, ma causa traffico intenso, è probabile una lunga attesa in orbita. Approfitti di questo momento per rilassarsi. Provvediamo noi all’avanzamento della fila. Un nostro incaricato la contatterà quando sarà il suo turno di entrare nell’atmosfera. Servizio doganale del pianeta Fleed.”

‘Però, sono organizzati proprio bene.’ Pensò Koji. ‘Vorrà dire che ne approfitterò per farmi una doccia e un sonnellino….yaaawn.’

Per fortuna le scorte d’acqua della Hikarimaru erano ingenti. Koji si fece la doccia, e poi si distese sulla branda, nella sua cabina. Sognò di nuovo Maria. “Oramai sei qui vero?” gli chiedeva in sogno. “Si rispondeva lui. Sono in coda all’orbital ring. Sto aspettando il mio turno per entrare.” Sembrava quasi una conversazione telefonica…. Dopo qualche ora, un cicalino nella cabina svegliò Koji dal suo sonno. Accese il terminale presente in cabina e collegato direttamente al computer centrale della nave. Un nuovo messaggio della dogana di Fleed appariva ora sullo schermo. Prego, è ora il suo turno per il passaggio. La preghiamo di inviare al nostro terminale la lista del suo carico, e di passare sotto al circuito a raggi X per la verifica dell’esattezza delle dichiarazioni riportate. Koji accedette al file della documentazione della nave. Lo aprì. Prevedendo qualcosa del genere, sulla Terra, al momento di caricare l’astronave, era stata redatta una lista completa di tutto il suo carico. Koji premette il pulsante di ENTER, inviando così la lista completa, poi, sempre sotto la guida del satellite, la Hikarimaru passò sotto al raggio X. Un nuovo messaggio apparve sullo schermo. “Siamo spiacenti, non possiamo farla passare. Dalle nostre analisi risulta che la sua nave è pesantemente armata. Le armi che ha in dotazione potrebbero seriamente compromettere la sicurezza del pianeta. Lei è pregato di tornare indietro.

‘Cosa? Tornare indietro dopo tre mesi di viaggio? Ma non se ne parla nemmeno, accidenti.’

Koji inviò un nuovo messaggio al satellite doganale: mi rincresce di questa situazione. Le armi installate a bordo sono solo per autodifesa. Vengo da molto lontano. Subitanea la risposta del satellite: Prego indicare il Suo pianeta di provenienza. Koji battè la risposta sulla tastiera: Terra, terzo pianeta orbitante intorno alla stella Sole.

Immediatamente si aprì un canale radio dal satellite. “E’ l’astronave Hikarimaru, vero? Perché accidenti non avete aperto subito le comunicazioni? Avevamo l’ordine di farvi passare con precedenza assoluta. Siete atteso con ansia signor….” “Kabuto. Koji Kabuto.” “Appunto. Quale ambasciatore del pianeta Terra, avevamo l’ordine di farvi passare con precedenza assoluta. Così invece si è solo perso tempo….dannazione…..verrò sicuramente degradato per questo…” Koji sorrise, quasi, nel sentire l’imbarazzo dell’addetto allo smistamento astronavi. Ma replicò subito. “Non si preoccupi. Mi assumo tutta la responsabilità di questo incidente. La colpa è stata mia che non ho aperto subito le comunicazioni, ma mi sono messo in fila ad aspettare con gli altri.”

La luce sul satellite, da rossa divenne verde. La Hikarimaru passò l’anello orbitale e, dopo aver attivato la barriera fotonica, discese nell’atmosfera di Fleed, guidata a distanza dai terminali dell’astroporto. Man mano che scendeva, Koji potè osservare la conformazione dei vari continenti, individuare fiumi, laghi, oceani, montagne, foreste, pianure. “E’ davvero uguale alla Terra in tutto e per tutto. Non si direbbe un pianeta da poco tornato alla vita.” Giunto ad una quota “da aeroplano” Koji pote vedere la neonata capitale di Fleed sotto di lui, brillante di luci e di vita. L’atterraggio allo spazioporto non fu molto diverso che atterrare con un aereo…la Hikarimaru, pur con la sua enorme stazza, planò dolcemente sulla pista di atterraggio, sostenuta dai suoi enormi carrelli. Il portellone si aprì. Koji, dopo essersi accertato di aver chiuso per bene tutti i portelloni delle stive e dei container, scese a terra, vestito in abiti civili. Indossava i suoi soliti jeans e la giacchetta blu. Portava con se due valigie. Attraversò a piedi il piazzale che portava all’edificio principale dello spazioporto, tenendo pronto a portata di mano, il passaporto che il computer del satellite gli aveva inviato dopo aver dato il verde. Koji entrò nell’edificio, accodandosi agli altri piloti di astronave. C’erano tre file di persone che aspettavano il loro turno per passare il controllo. Forse, anche in quella occasione, poteva avvalersi della “priorità” concessagli quale ambasciatore della Terra, ma preferì non farlo. Sarebbe stata una prevaricazione. Koji attese per qualche minuto, poi fu il suo turno. Una bella ragazza dalle orecchie a punta, in uniforme, gli chiese il passaporto. Koji lo esibì. “Di dove sei, marinaio?” gli chiese la ragazza, con sguardo trasognato. “Della Terra. E tu. Da dove vieni?” “Io? Io sono originaria del pianeta Zela.” “……” Koji non seppe che rispondere. Naturalmente sapeva che il pianeta Zela non esisteva più, inghiottito da un buco nero. Gli studi astronomici di un esimio scienziato di nome Daimonji lo avevano dimostrato chiaramente. Koji sapeva il nome di quel pianeta perché glie lo aveva detto Duke, non molto tempo prima di partire dalla Terra. “Che fai stasera, marinaio? – gli chiese la ragazza – se non hai impegni, io stacco alle 19.00. Ti faccio fare un giro della città”. La ragazza esibì un sorriso quasi disarmante. “Mi dispiace, ma sono già impegnato.” Le rispose Koji sorridendo, bonariamente. “Peccato – la ragazza sospirò – perché sei proprio il mio tipo. Ma se ci ripensi, ecco.” La ragazza gli porse un biglietto. “Questo è il mio numero di telefono. Io mi chiamo Alvyna.” Koji era leggermente imbarazzato. “Beh, piacere Alvyna. Magari sarà per un’altra volta.” Koji prese distrattamente il biglietto, e infilò il gate di uscita. ‘Queste ragazze aliene sono davvero intraprendenti’, pensò, tutto rosso in viso. Una serie di negozietti e spazi con servizi vari per i viaggiatori interstellari attirò la sua attenzione. C’era di tutto: ristoranti, negozi, parrucchieri, bagni pubblici. E tutto senza uscire dall’astroporto. Ma Koji non aveva soldi con se. Provò comunque a entrare in uno dei bagni pubblici. Si rivolse ad un uomo dalla pelle scura che stava a guardia della cassa. Koji riconobbe in lui un Veghiano. Se ne stupì. Il Vegliano lo accolse cortesemente. “Prego si accomodi”. Koji obiettò. “Veramente, non sono dotato di valuta locale.” Il Vegliano, senza scomporsi minimamente, gli spiegò che se era un marinaio appena atterrato nello spazioporto, il servizio di bagno e parruccheria erano gratuiti. Per l’acquisto di vestiti, invece, il passaporto avrebbe fatto da cambiale, e il pagamento sarebbe avvenuto in dogana prima della partenza. ‘Però, Duke ha pensato proprio a tutto.’ Si stupì Koji. Decise di approfittare dei servizi dello spazioporto. Fece una doccia e poi si immerse nella vasca dell’acqua calda, rilassandosi per 15 minuti circa. Terminato il bagno decise di darsi una sistemata anche ai capelli. Entrò nel negozio ed esibì il passaporto. Il negozio era gestito da un tizio che da lontano sembrava un uomo. A vederlo da vicino, invece, si sarebbe potuto tranquillamente dire che era un gatto, eretto su due piedi. Koji si stupì dell’aspetto di costui, ma cercò di non darlo a vedere. Dopotutto, era lui l’alieno, là su Fleed. L’uomo gatto gli sistemò i capelli in maniera davvero egregia, e per finire, gli spalmò anche un tonico sulla testa. Koji uscì dal negozio con una sensazione di freschezza che non aveva mai provato prima. Finalmente, dopo aver attraversato un lungo corridoio, Koji uscì dalla struttura dello spazioporto. E adesso? Non sapeva dove andare. La prima cosa da fare era cercare un taxi, farsi portare in città, cercare un’alloggio. Poi avrebbe provato a contattare Duke. Quasi rimpianse di non avere accettato l’offerta di quella simpatica Zelana. “Kojiiiiiiiiiiii!” si fece sentire all’improvviso una voce squillante alla sua sinistra. Koji, riconosciuta la voce, si voltò. Non ebbe nemmeno tempo di dire “A”, che Maria si aggrappò a lui e lo baciò con foga. Koji diventò tutto rosso in viso, ma non si oppose a quel bacio. Dopotutto, anche lui aveva atteso quel momento da tanto tempo. Contraccambiò l’abbraccio di Maria. “Stupidone. Perché non hai avvertito che stavi arrivando? Se non avessi i miei poteri precognitivi, adesso non sarei qui.” “Avevi previsto quando sarei arrivato?” chiese Koji stupito. Nonostante tutto, non si era mai abituato ai poteri precognitivi di Maria. “ Sapevo che eri arrivato sin da quando ti sei messo in fila nell’anello orbitale.” “Come facevi a saperlo?” Maria sollevò le spalle, come a voler dire che neanche lei sapeva la risposta. “Ti ho sognato….” Ammise candidamente. “Ma è incredibile. Anche io ti ho sognato, quella notte.” Ormai non vi poteva più essere ombra di dubbio che tra i due si era creato un legame particolare, un legame che nemmeno due anni di lontananza avevano spezzato. “Dai, andiamo a casa – gli disse Maria poi – anche mio fratello ti sta aspettando. Ho la macchina qui dietro, al parcheggio.” “Si, va bene.” Rispose Koji, imbarazzato per la sua dabbenaggine. Nella fretta di partire aveva dimenticato di chiedere delucidazioni su usi, costumi, e quant’altro del pianeta Fleed. E si era anche dimenticato del denaro. Come avrebbe fatto a pagare Taxi e albergo, se Maria non fosse venuta a prenderlo? Era proprio un distrattone. I due raggiunsero la macchina di Maria al parcheggio. “E’ questa la tua macchina?” le chiese Koji stupito. L’auto di Maria era identica in tutto e per tutto al TFO. Solo l’abitacolo era a due posti, e invece del portellone che si chiudeva dall’alto, aveva una cupola a scomparsa, tipo quella del Pilder, in modo che l’auto, all’occorrenza potesse essere anche cabrio. “Ti piace?” “E’ praticamente identica al mio primo TFO” “Si, mi è sempre piaciuto quel veicolo….e poi….mi ricordava te…” Identico nell’aspetto, ma non nell’interno, come Koji ebbe presto modo di constatare Sistemò le sue due valigie nel baule, sul retro del disco, e salì nell’abitacolo. “Dopo te la faccio provare – gli disse Maria – usciti da qui abbiamo solo un piccolo pezzettino in città, poi è tutta autostrada sino a casa nostra.” Koji notò che anche i comandi, dalla cloche al tachimetro, erano del tutto identici a quelli del suo primo disco. Chi aveva costruito quel gioellino aveva creato un vero capolavoro. I veicolo che Koji aveva visto girare dentro lo spazioporto assomigliavano molto di più alle automobili terrestri, benché si muovessero su cuscino d’aria. Al passaggio in centro città, Koji rimase del tutto spiazzato. Somigliava in tutto e per tutto alle città terrestri, ma erano frequentate da diverse razze umanoidi: c’erano Fleediani, identici ai terrestri in tutto e per tutto, Veghiani, Zelani, Uomini gatto come quello che gli aveva sistemato i capelli, uomini provvisiti di bellissime ali da uccello, dai più svariati colori. “Senti Maria, ho visto parecchi Veghiani qui.” “Si, e sono anche numerosi. Ma non preoccuparti. Sono civili. I Veghiani erano un popolo governato da un tiranno, ed erano costretti a fare la guerra. Ma anche loro sono esseri umani, come noi. La maggior parte di loro neanche l’ha mai voluta la guerra. Era solo il desiderio di onnipotenza del loro re….” “Sicura che non combineranno altri guai?” “Stai tranquillo. Ormai sono liberi. Non devono più obbedire ad un re malvagio. Stanno costruendo il loro futuro.” In effetti, Koji non aveva percepito nessun astio nel Vegliano che gestiva il bagno pubblico, giù allo spazioporto. “Ehm….sei sicura che sia davvero così?” “La classe militare, che non vuole la pace, è stata dichiarata fuorilegge. Vivacchiano ai confini della nebulosa, compiendo saccheggi e piraterie ai danni delle navi di passaggio. Non è una zona molto frequentata, quella. Mi sono preoccupata parecchio quando ho saputo che ci dovevi passare. Ma a quanto pare, te la sei cavata egregiamente. Fortuna che avevi pensato di prendere lo Z con te.” “Me la sarei cavata lo stesso.” Nel dire questo un velo di tristezza si dipinse sul volto di Koji. Il ricordo del povero Girgil era ancora vivo in lui. “Oltre a Fleediani e Veghiani – gli spiegò Maria – ci sono anche abitanti di altri pianeti, che sono stati distrutti, o che sono diventati inagibili. Ci sono gli Zelani….” “Che ho già avuto modo di conoscere…” sorrise Koji ripensando ad Alvyna. “Poi abbiamo dei Bastettiani….sono quelli che assomigliano a gatti…sono un popolo fiero ed orgoglioso delle proprie origini….un po’ selvaggi, forse, ma non sono pericolosi. E poi ci sono i Bahamesi…..sono quelli con le ali….loro sono quelli più avanzati scientificamente e tecnologicamente. Se Fleed è quello che è oggi, è soprattutto merito loro.” “E quanti abitanti ha, in totale il pianeta, oggi?” “Circa novecento milioni. Sono ancora pochi…..di terra su Fleed ce ne è ancora molta. Spero che arriveranno anche terrestri in futuro. La prosperità di Fleed dipende anche dalla Terra.” “Certo. Beh, vedremo….questo primo viaggio è stato un successo….magari, perfezionando il motore, e debellando quei maledetti pirati…” “Pensa che sta già nascendo la prima generazione di sangue misto….incredibilmente, tutte le popolazioni che si sono radunate qua sono geneticamente compatibili.” ‘Chissà se sotto questa casualità non ci sia il disegno di una mano superiore .’ pensò Koji. Dopo circa un’ora di autostrada, finalmente arrivarono. La ‘casa’ di Duke era una villa principesca che sorgeva sulla collina che sovrastava la città. Era circondata da un immenso giardino, dove venivano coltivati con cura fiori dai colori più disparati. E i fiori più belli…. “Ti piacciono?” – chiese Maria a Koji. “Si, molto. Sono i più belli di tutto il giardino.” “Quei fiori sono nati dai semi che Goro ha regalato a Duke, quando siamo partiti. Mio fratello ci tiene molto, e li cura lui personalmente. Quando è teso o nervoso, viene qui a curare questi fiori.” La villa era un imponente palazzo, delle stesse dimensioni di quello di Versailles. L’interno era tutto arredato in stile moderno, ma molto elegante. “Non mi aspettavo un simile palazzone.” Esclamò Koji “Mio fratello è la massima autorità fleediana….e come tale deve vivere in un palazzo adeguato. Molto spesso mi dice che se potesse tornare a vivere come un semplice fattore, sarebbe molto più felice.” “E tu? Tu come ti senti qua dentro, Maria?” “Io non mi ci trovo male….ma a volte mi sento davvero molto sola…. Anche io, a volte, ho il desiderio di tornare a vivere alla fattoria, come una volta….Ma vieni, entriamo. Mio fratello ti sta aspettando.” Koji e Maria percorsero un lungo corridoio, costellato di porte, poi giunsero ad una porta fregiata con inciso lo stemma di Fleed: lo studio del re. Maria bussò alla porta. “Avanti” rispose una voce dall’altra parte. Maria entrò per prima, Koji subito dietro a lei. Duke, seduto alla scrivania si alzò. Il sorriso si dipinse sul suo volto. Abbracciò l’amico di un tempo, calorosamente, gli strinse la mano. “Benvenuto su Fleed, Koji. Anzi, ambasciatore Kabuto.” “Dai, non scherzare per piacere.” “Ah, sarei venuto anche io allo spazioporto, a prenderti, ma Maria ha voluto andare da sola.” Koji, lievemente imbarazzato, si portò una mano dietro la testa. “Ma – chiese poi Duke – sei venuto da solo? Pensavo che ci fosse anche Hikaru, con te.” “Hikaru non è potuta venire. Danbei si è rotto una gamba poco prima della partenza e Hikaru non se l’è sentita di abbandonarlo.” “Capisco. Mi dispiace che non ci sia. L’avrei rivista molto volentieri.” “Dispiace più a lei, credo”, azzardò Koji, rendendosi conto di avere fatto, forse, una battuta un po’ infelice. “Hem….beh, sarai affamato, immagino. Beh, vieni, la cena è pronta. Questa sera mangeremo noi tre da soli, ma domani c’è la cerimonia di benvenuto, a cui presenzieranno tutti i regnanti. E dopodomani ci sarà la cerimonia che suggellerà l’alleanza tra la Terra e Fleed.” “Devo proprio intervenire anche io? Non sono tagliato per certe cose.” “Koji. –Duke lo guardò con aria di leggero rimprovero – mi rendo perfettamente conto di quali sono i motivi che ti hanno spinto a questo viaggio. Ma devi anche capire, che come primo visitatore dalla Terra, qui hai un ruolo molto importante. Hai dei doveri a cui non puoi sottrarti.” “Lo so, lo so.” “Ma ti capisco sai? Anche io rimpiango i giorni in cui vivevo alla fattoria. I panni del monarca proprio non fanno per me. Non so cosa darei per tornare indietro. Ma non posso. Ho delle responsabilità qui. Delle grandi responsabilità. E ora anche tu le hai.” “Certo, certo.” “Ma ora su. Lasciamo perdere per un momento i doveri. Mettiamoci a tavola.”

Nel salone centrale del palazzo, era già tutto pronto per il pasto. Duke, Maria e Koji cenarono, parlando allegramente del piu e del meno, come un tempo. Koji ne approfittò anche per farsi spiegare usi e costumi delle varie genti che ora abitavano il pianeta Fleed. “L’unico mio rammarico…. – disse ad un certo punto Duke – sono quei pirati che ancora infestano la zona d’ingresso della nebulosa. Non si riesce a debellarli. Dovrei uscire io stesso, con Grendizer, ma non posso abbandonare il pianeta….ne approfitterebbero per attaccarlo.” “Sono così numerosi?” chiese Koji. “Purtroppo, è una vera e propria gilda di pirati spaziali…Non sono solo i Veghiani a farne parte…sono un vero e proprio esercito. So che ti sei scontrato con loro.” “Si, li ho incontrati, purtroppo. E ho visto come agiscono.” “Vorrei che mi dessi una mano a debellare l’organizzazione….sono una minaccia per la pace spaziale.” “Conta pure su di me. Mazinger Z è pronto a combattere per la pace nell’universo.” “Grazie Koji.”

Dopo cena, Koji fu introdotto alla sua stanza: un autentico appartamento a due stanze, del tutto indipendente, dotato di bagno autonomo, di una enorme scrivania, un armadio in mogano. Un grande letto a baldacchino troneggiava in mezzo alla camera da letto, e nella stanza adiacente, un enorme schermo Tv, completamente piatto, la faceva da padrone. Koji provò a guardare alcuni canali…..c’era un universo intero da scoprire. Rimase di stucco quando, su un canale Zelano, scoprì che narravano le sue gesta con il Mazinga Z, quando combatté contro il dottor Hell. L’attore che lo impersonava era, ovviamente, uno Zelano, ma il robot, benché fosse visibilmente una tuta di lattice molto simile a quelle che sulla Terra si usano per i telefilm sentai, era una riproduzione perfetta del Mazinga Z. Provò poi un canale bastettiano e uno bahamese, quindi uno vegliano. Per fortuna l’apparecchio era dotato di un traduttore universale, cosi Koji non ebbe difficoltà a capire le varie lingue di questi popoli. Ma c’era davvero troppo da imparare in una sola sera. Koji spense la TV. Non ne aveva voglia in quel momento. Aprì la finestra della sua stanza. Guardò la città sotto la collina, dal terrazzino della sua stanza. Sembrava un formicaio luminoso, brulicante di vita. Faceva caldo. Su Fleed era già estate. Sentiva frinire quelle che sembravano cicale, ma che sicuramente erano insetti locali. Koji si mise in pigiama. Poi si sedette sul terrazzino, a petto nudo, per godere il fresco serale. Qualcuno bussò alla sua porta. “Koji, posso entrare?” Era Maria. Koji vestì la giacca del pigiama, ed andò ad aprire la porta che aveva chiuso a chiave. Maria, vestita in camicia da notte, con in mano un vassoio su cu erano riposti due bicchieri ed una bottiglia con una bevanda scura che sembrava vino, entrò nella stanza. Koji arrossì vedendola abbigliata in quel modo, non se lo aspettava. I due si sistemarono nel terrazzino a bere quella che, Koji lo scoprì assaggiandolo, era un succo analcolico ricavato da un frutto scuro, dal sapore molto simile al cocco. “Allora, come ti sembra l’estate di Fleed?” “Calda, come quella sulla Terra.” Maria si appoggiò sulla spalla di Koji….”Finalmente sei qui, dopo due anni….” Koji non rispose…stettero a lungo in silenzio, ad ammirare le stelle. Poi rientrarono in camera, “Yaaaawn…..che sonno…..è stata una giornata piena di emozioni.” Disse Koji, pronto a congedarsi da Maria. Era ora di dormire. Maria raggiunse la porta. La chiuse a chiave. “Che fai?” chiese Koji, stupito. Maria gli fece cenno di fare silenzio, posandogli un dito sulla bocca. Lo baciò. “Sei sicura?” le chiese Koji, dolcemente. Maria fece cenno di si con la testa. Koji lievemente imbarazzato, “Duke mi ucciderà se scopre che sei qui.” “No, non lo farà. Non sono più una bambina.” Questa volta fu Koji ad abbracciare e baciare dolcemente Maria. Si distesero sul letto, e Koji spense la luce.

Intermezzo
Koji si trovava in un posto buio. L'essenza stessa dell'oscurità. Si guardò intorno per capire dove fosse. Ma intorno a lui non c'era altro che buio. Poi sentì una voce che lo chiamava. "Koji. Koji!" Non era una voce ostile. Anzi era calda, amichevole. Koji si sentì rassicurato da quella voce. Aveva un che di familiare. E Poi, dalla direzione da dove veniva quella voce, ecco uno spiraglio di luce. Koji fece per avvicinarvisi. La luce gli andò incontro. "Devi stare attento Koji." "Attento a cosa? E tu, chi sei?" chiese Koji, smarrito. "Devi stare attento. Proteggi Duke Fleed. E Maria. E Hikaru. Voi siete la chiave per la pace nello spazio." "Ma tu, chi sei?" La luce, piano piano cominciò a prendere forma. Una forma che Koji ricordava. La forma di una gigantesca tartaruga. "Io sono...." La voce non ebbe tempo di terminare la frase. Koji si svegliò. Era stato un sogno. Solo un sogno.

Un pianeta lontano da Fleed, dall'altra parte della nebulosa di Vega. Era un pianeta dove la vita umana era impossibile. Un pianeta giovane, ancora costituito da vulcani e spazzato dalle piogge acide. Eppure, in quell'inferno, un essere era intento nella meditazione. A vederlo da vicino assomigliava ad una tartaruga, ma camminava eretto su due piedi, ed era dotato di mani prensili, come quelle umane. Era seduto in una posizione yoga, concentratissimo. Non un solo movimento si avvertiva lungo il suo corpo scaglioso. Poi, d'improvviso, gli occhi si mossero. L'essere li aprì. La sua concentrazione era stata spezzata. Un altro essere lo raggiunse, planando in volo. Era un uomo. Ma la sua pelle era d'acciaio, acciaio color rosso. Delle decorazioni argentee erano disegnate lungo tutto il corpo, e una lunga criniera bianca cingeva la sua testa. Sembrava un essere nato e temprato dal fuoco e dal magma di quel pianeta. Il nuovo arrivato si rivolse all'uomo tartaruga, che nel frattempo si era rialzato. "Allora, come va? Sei riuscito ad avvertirlo?" chiese l'uomo d'acciaio rosso. "Si, ma non sono riuscito a far capire chi sono....qualcosa ha interrotto la mia telepatia...e ho paura che così il giovane Kabuto lo prenderà solo per un incubo, e non per l'avvertimento di un amico." "Come mai la tua telepatia si è interrotta? La ragazza?" "No, la principessa lo ama. Al massimo, avrebbe potuto ricevere anche lei il mio messaggio, ma non avrebbe potuto impedirmi di consegnarlo, proprio per l'amore che prova per quel giovane." "Uhm...." "Purtroppo, ora non possiamo farci niente. E io non posso più restare qui, Leo. Devo tornare sul mio pianeta." "E' successo qualcosa?" "Mio padre è morto. L'ho percepito chiaramente. E adesso ricomincerà la caccia. Non posso permettere che altri innocenti muoiono. Devo tornare." La creatura nota come Mighty Leo sospirò. "E' giusto, mio buon Girgilon. Il tuo pianeta ha bisogno di te. Devi andare. E purtroppo io sono impegnato su questo fronte. Su Fleed dovranno cavarsela da soli. Non ci resta che sperare che Duke Fleed e Koji Kabuto siano forti abbastanza da superare questo periodo oscuro." "Insieme hanno combattuto tante battaglie. Non hai fiducia nelle loro qualità di guerrieri? Non hai fiducia nella loro amicizia?" Mighty Leo non rispose. Girgilon insistette. "Non hai fiducia nell'amore che lega il giovane Kabuto a Maria Grace Fleed?" "Si, ho fiducia in loro. Ma sono preoccupato lo stesso. Hikaru Makiba è lontana, è sulla Terra, e questo, purtroppo, mi impensierisce non poco. Se fossero insieme tutti e quattro, sarei più tranquillo." "Vuoi che provi a contattare la giovane Makiba?" "No. No, anche perché sarebbe inutile, ora come ora. La tua preoccupazione ora deve essere per il tuo pianeta, per la tua gente." "Che possiamo fare?" Mighty Leo stette di nuovo in silenzio prima di rispondere. "Pregare. Solo pregare."

Capitolo 5
Koji si svegliò. Maria, accanto a lui, era ancora addormentata. La accarezzò dolcemente, non voleva svegliarla. Non riusciva ancora a credere a quello che era successo quella notte. Quello che era successo....e poi quello strano sogno, quella voce che lo avvertiva di qualcosa....eppure, non era affatto una voce ostile, anzi. Koji percepiva chiaramente che era una voce amica, che voleva avvertirlo di qualcosa. "Mnnhh..." Maria si stava risvegliando. Aprì gli occhi. Il sorriso di Koji fu la prima cosa che vide. "Buongiorno, amore." "Ciao tesoro. Dormito bene?" Si stupirono tutti e due di quelle parole, pronunciate così, a cuor leggero. Erano parole che fino a pochi mesi prima non sarebbero sembrate adatte ad uscire dalla bocca di nessuno dei due. Ma ora... "Ma che ore sono?" chiese Maria. Koji guardò sul comodino. La sveglia posta sopra di esso segnava le 07.00. Era presto o era tardi? Una giornata, su Fleed, durava 30 ore. "Mnh, tra poco è l'ora della ginnastica, poi la colazione." A quanto pare la vita di casa Fleed era ben scandita. "Ti unisci a noi o preferisci dormire ancora un po’?" chiese Maria. "Ci sono un sacco di cose che devo capire, che devo imparare su questo posto. Quindi, non posso perdere tempo a dormire. Mi unirò a voi." "Va bene." Maria baciò Koji. "Sono proprio felice che tu sia qui, sai? Non è passato giorno senza che io pensassi a te." Nel dire questo, le lacrime inumidirono gli occhi di Maria. Era sul punto di piangere. Koji la abbracciò, dolcemente. "Anche io sono molto felice. Non c'è stata notte, in questi due anni, senza che io sognassi di quel giorno che sei partita, e mi hai chiesto di tornare con te. Ma purtroppo non potevo. La Terra aveva bisogno di me." "Mi prometti.....sniff....mi prometti che non ti allontanerai mai più da me?" "Te lo prometto." Dopo lo scambio di questa promessa, si vestirono tutti e due in kimono da atleta. Di quelli che si usano per le arti marziali. Raggiunsero la stanza del palazzo adibita a palestra. Duke, e un robusto bastettiano dall'aspetto di tigre, stavano svolgendo un allenamento. Koji e Maria si sedettero a lato del tatami, a guardare in silenzio. Il corpo di Duke era, se possibile, ancora più scolpito di quanto non lo fosse quando era sulla terra. I risultati di quei due anni di quotidiano allenamento erano ben visibili sui muscoli del giovane sovrano. I due si misero in guardia. Poi, Duke attaccò con un calcio volante, lanciando il suo "Kiaiiiiii". Il robusto bastettiano non si scompose. Parò il calcio con la mano sinstra, e con la destra afferro il bavero del kimono di Duke, poi con un abile sgambetto, lo fece rotolare a terra. Duke, senza battere ciglio si rialzò e si mise di nuovo in guardia. Stavolta attaccò con una serie di fendenti al corpo. Il bastettiano li scansò tutti, ma non pote evitare di finire all'angolo. Duke vibrò un fendente diretto alla gola dell'avversario, ma un attimo prima di colpire, si arrestò. Tese la mano al bastettiano, lo aiutò a rialzarsi. I due si misero uno di fronte all'altro. Si inchinarono. Poi, finalmente, Duke si accorse della presenza di Koji e Maria. "Oh, buongiorno. Koji, hai dormito bene?" Koji, lievemente imbarazzato, rispose che aveva dormito benissimo. Duke gli presentò il bastettiano. "Ti presento il generale Kalinga Panthro. E' il capo della sicurezza del palazzo, nonché mio istruttore. Come re devo essere sempre pronto a tutto, purtroppo. Il generale è un valoroso, reduce da molte battaglie, ed un esperto di arti marziali." "E lei è un ottimo allievo, maestà." Ribattè l’uomo gatto. "La prego, Kalinga. Avevamo stabilito che in privato io ero solo Duke." "Ma adesso non siamo in privato." Disse Kalinga, indicando Koji con un cenno del capo. "Se allude a Koji, lui è come se fosse parte della mia famiglia. Quindi, siamo più che in privato. Ma io sono un maleducato. Kalinga, le presento Koji Kabuto, dalla Terra." Koji si avvicinò tendendo la mano. "Piacere, generale." Il bastettiano gliela strinse. Era una stretta "maschia", ma molto calorosa. "Può chiamarmi Kalinga. Quel grado mi sta piuttosto stretto. Sono solo un vecchio soldato." "Allora piacere, Kalinga." "Ho sentito da Duke che sei un guerriero valoroso. Ti va di fare un allenamento con me?" "Con molto piacere." "Va bene, allora faremo un po’ di riscaldamento, anche con la signorina Maria, e poi, ci batteremo noi due." "Bene." Koji e Maria si allinearono a Kalinga, sul tatami. Cominciarono con del tai-chi, per poi passare a degli esercizi ginnici comuni. A quel punto, Duke e Maria si sedettero in disparte. Koji e Kalinga si misero uno di fronte all'altro. Si inchinarono. Si misero in guardia. Maria si rivolse a Duke. "Non sarà pericoloso, per Koji? Kalinga è un guerriero esperto. Potrebbe farsi male." "Non preoccuparti Maria. Kalinga è un istruttore esperto. Non succederà niente. E se conosco bene Koji, non si farà buttare giù tanto facilmente." Koji attaccò. Fendenti al corpo. "Kiaiiiii" Quasi senza rendersene conto, Koji si trovò a Terra. Kalinga aveva afferrato il bavero del suo kimono e lo aveva scagliato al suolo, approfittando della sua stessa forza. Koji si rialzò, contrattaccò di nuovo. Calcio laterale. Kalinga non fece altro che piegarsi all'indietro. Calcio frontale. Kalinga afferò la gamba di Koji e lo fece rotolare a terra. Anche stavolta Koji si rialzò. Attaccò di nuovo con un calcio volante. Kalinga fece per pararlo con il braccio sinistro, ma non appena lo fece, Koji avvolse anche l'altra gamba attorno al braccio. Caddero a terra. Koji continuava a stringere il braccio del bastettiano con il suo corpo. Ma questi si girò di fianco e, dando prova di grande agilità, sferrò a Koji un calcio. Di nuovo Koji rotolò a terra. Kalinga lo aiutò a rialzarsi. "Mi sembra che non siate molto in forma, oggi, Koji." Poi, vedendo il volto preoccupato di Maria, Kalinga scoppiò in una fragorosa risata. "Aaah, capisco...I due giovani guerrieri hanno combattuto su un altro fronte questa notte. Bwahahahahaha." Koji e Maria diventarono rossi per la vergogna, come bambini colti con le mani nella marmellata. Anche Duke sorrise, discretamente. Non disse niente Ora toccava a Maria la sessione di allenamento. Ma Kalinga fu indulgente. Si limitò a farle fare alcuni kata, data l'eccezionalità della situazione, a cui si unirono anche Duke e Koji. Poi, tutti e tre si inchinarono di fronte al loro maestro e ringraziarono per la lezione. "Si unisce a noi per la colazione, Kalinga?" chiese Duke. "Mi piacerebbe, ma purtroppo i miei doveri mi attendono." "Va bene allora." "E' stato un piacere conoscerla, Koji. Spero che vorrà ancora onorarmi della sua presenza in palestra." "Ma certamente." Rispose Koji, sorridendo. Anche lui doveva tenersi in allenamento, come aveva fatto per quei due anni, preparandosi al viaggio, e Kalinga sembrava davvero un ottimo istruttore. I tre si fecero la doccia. Si cambiarono. Raggiunsero la sala colazioni. La tavola era già pronta per tre. Si sedettero. Una cameriera veghiana venne a servire una bevanda bollente che somigliava al caffè, e pane tostato con la marmellata, fatta di frutta locale. "Grazie, Kirika." Le si rivolse Duke. "Kirika?" chiese stupito Koji. Si ricordava ancora di Kirika, la scienziata veghiana che aveva inventato il raggio congelante, e che era morta per salvare Duke dalla trappola di Zuril. "Kirika è un nome molto comune, tra i veghiani" gli spiegò Maria. "Capisco. Ci sono tante cose che ancora non so di qui...." "Non preoccuparti - lo rassicurò Duke sorridendo - avrai tutto il tempo di imparare." Koji si limitò a rispondere con un "Heh heh" "Allora Koji. Domani ci sarà la cerimonia di gemellaggio con la Terra e la gran parata. E verrà anche inaugurata l'ambasciata del pianeta Boazan. Alla sera, poi, si terrà il gran ballo qui, a palazzo. Oggi a pranzo, invece, avremo ospiti i capi delle varie etnie che vivono qui su Fleed. Vengono per conoscere te." "Per conoscere me?" Chiese Koji, allibito. "Si certo." Gli rispose Maria. "Come primo visitatore terrestre, qui hai un'importanza capitale. Tutti vogliono conoscere l'intrepido viaggiatore che viene da così lontano." "Ehm...non si potrebbe evitare?" chiese Koji, sempre più imbarazzato. "Non preoccuparti. – lo rassicurò Duke - Qui su Fleed non c'è da rispettare alcuna etichetta. Ho voluto che fosse così apposta perché non si creassero discriminazioni di sorta, e tutti potessero avvicinarsi l'uno all'altro. Comportati normalmente e rispondi pure alle domande che ti verranno poste, e fanne anche tu. Sii te stesso, insomma. E vedrai che andrà tutto bene." "Non vorrai dirmi che il valoroso pilota del Mazinger Z ha paura di una cena informale, vero?" lo canzonò Maria. Koji diventò di nuovo rosso per la vergogna. Duke e Maria risero divertiti. In quel momento squillò il comunicatore posto su tavolo poco distante. Duke si alzò e andò a rispondere. "Parla Duke Fleed. Come ? COSA? Si, si.....arrivo subito." Koji e Maria guardarono Duke preoccupati. Duke sospirò. "Dobbiamo correre allo spazioporto. I pirati si sono spinti oltre la loro zona, ed hanno attaccato l'astronave di Boazan sulla quale viaggiava l'ambasciatore, il Gran Duca Jangal, con la sua famiglia."

Capitolo 6
L'automobile a cuscino d'aria correva veloce, sull'autostrada. Duke era alla guida. Koji era seduto al suo fianco, Maria sul sedile posteriore. Raggiunsero lo spazioporto in 20 minuti. La polizia di Fleed aveva bloccato il traffico nel tratto di città che bisognava attraversare per raggiungerlo. Superati i controlli ai cancelli, Duke si diresse direttamente verso la pista di atterraggio, dove la nave boazana stava ancora bruciando. I pompieri si stavano dando da fare per spegnere l'incendio. Duke, Maria e Koji scesero dall'autovettura. Della autoambulanze erano già in attesa. Dentro una di esse vi erano tre boazani feriti. Erano membri dell'equipaggio della nave del Granduca Rui Jangal.

*Boazan, che Duke chiamava scherzosamente "il pianeta degli Oni", in ricordo delle leggende popolari giapponesi, era abitato da esseri umani provvisti di corna che gli crescevano sulla testa, di varia grandezza. Chi ne aveva uno solo, al centro della fronte, chi due, ai lati della testa, chi addirittura tre. Le loro uniformi militari avevano, in genere, colore giallo con striature nere, somiglianti a quelle delle tigri. Proprio come gli antichi Oni giapponesi. Erano tuttavia un popolo tecnologicamente molto avanzato, anche se piuttosto bellicoso. Durante la guerra contro Vega, il loro imperatore, Zu Zambazir, un crudele tiranno, aveva stretto un'alleanza con Re Vega il grande. Quando Vega il Grande fu ucciso da Grendizer, la popolazione di Boazan, schiacciata dalla tirannide di Zambazir, si era sollevata, e aveva cacciato il despota. Come nuovo imperatore fu scelto Ra Gool, un moderato, che avviò subito delle riforme che salvarono il popolo dalla povertà e dalla fame. Ra Gool tuttavia non regnò a lungo. Un terribile cancro lo stroncò, terminando prematuramente il suo regno. Al trono salì, allora, il figlio di Ra Gool, Ra Hainel. Poco piu giovane di Duke Fleed, Ra Hainel continuò l'opera di suo padre, adoperandosi per la prosperità del popolo boazano e per la pace nello spazio. Si dice, tuttavia, che sia piuttosto impulsivo, e che abbia la tendenza ad agire prima di pensare. Tuttavia, grazie anche ai validi ministri di cui si è circondato, fino ad allora era sempre riuscito ad evitare incidenti interplanetari.*

Altre due ambulanze stavano portando via i cadaveri di sette boazani, gli altri membri dell'equipaggio dell'astronave CC (Corpo diplomatico). Disteso su una barella, il corpulento Granduca Rui Jangal, due corna laterali, scuro di capelli, gravemente ferito ma ancora vivo, stava per essere portato in ospedale. Poco più in là, due ragazzi biondi, vestiti in abiti eleganti, stavano bevendo da dei bicchieri di plastica, probabilmente una bevanda calda, assistiti dagli infermieri dello spazioporto. "Jariten…Jariten, figlio mio…" riuscì a pronunciare il Granduca, mentre veniva caricato sull'ambulanza. Il ragazzo, un monocorno, che fino ad allora era rimasto seduto, si alzò e corse al fianco del padre. Gli prese la mano. "Mi raccomando Jariten….ora tocca a te portare….ora…tocca a te….il compito….di ambasciatore di Boazan…" Il ragazzo annuì : "Certo padre…Non preoccupatevi…" "Bravo….e stai accanto a tua sorella…." "Può stare tranquillo padre…" Nel sentire queste parole, Rui Jangal finalmente si rilassò, e svenne. Duke corse all'ambulanza. Si rivolse all'infermiere. "Come sta?" "E' gravemente ferito. Bisogna portarlo subito in ospedale." "Bene, lo porti subito all'ospedale centrale. Lui e tutti i boazani feriti. Fateli curare personalmente dal dottor Baranduk - (Bahamese, primario dell'ospedale centrale, nonché medico curante di Duke Fleed. Il meglio sulla piazza) - Ecco l'autorizzazione." Duke consegnò all'infermiere una busta, chiusa con il sigillo di Fleed. "Qualcun altro è sopravvissuto?" "I due ragazzi laggiù. Loro sono praticamente illesi." "Bene. Vado subito a sincerarmi delle loro condizioni." Duke si avvicinò ai due ragazzi. Un'infermiera bahamese si stava prendendo cura di loro. "Quali sono le loro condizioni, infermiera?" "Sono praticamente illesi. La ragazza è ancora sotto shock, il ragazzo, invece sembra abbastanza presente." "Bene." A quel punto Duke si rivolse al ragazzo monocorno. Lui sembrava avere circa vent'anni; il corno, invece che sulla fronte, era cresciuto al centro della calotta cranica. La ragazza, di circa 14 anni, di corna ne aveva due, laterali. "Come state?" "Noi stiamo bene, almeno credo." "Siete i figli del Granduca, dico bene? Io sono Duke Fleed." "Io sono Rui Jariten, questa è mia sorella, Rui Lamù" La ragazza, ancora tremante, si alzò e offrì la mano a Duke. Lui gliela strinse. "Che cosa è successo?" "Siamo stati attaccati dai pirati spaziali." Duke sospirò. Sentiva che sarebbe arrivato il momento in cui questi maledetti pirati si sarebbero fatti più coraggiosi e si sarebbero spinti oltre la loro zona. Ormai non era più possibile indugiare. Bisognava fare qualcosa. Ma cosa? Fleed era un pianeta rinato da poco. L'unica potenza militare di cui disponeva era Grendizer, e quello serviva solo per la difesa. Duke si rivolse di nuovo all'infermiera. "Devono essere ricoverati, o possono venire via con me?" "La ragazza avrebbe bisogno di tranquillità assoluta. E' ancora sotto shock. Sedarla sarebbe opportuno. Deve dormire. Ma a parte questo, non c'è bisogno di ricoverarli." Duke si rivolse a Jariten: "Ragazzi, sarete miei ospiti finché vostro padre non si rimette." Jariten tentò di rifiutare. "La ringrazio maestà, ma la nostra ambasciata, benché debba essere ancora inaugurata, è pienamente funzionante. Possiamo tranquillamente sistemarci lì." "Chiamami Duke, come fanno tutti, se non ti dispiace. E non voglio lasciarvi da soli dopo questo terribile incidente. Su, venite con noi. Il mio amico Koji, e mia sorella Maria, potranno tenervi buona compagnia." "Io – Jariten arrossì. Imbarazzato – la ringrazio molto, Duke. Ma non vorremmo creare troppo disturbo." "Nessun disturbo. Oggi era in programma un pranzo con tutti i capi delle varie etnie, che vivono qui su Fleed. Ma lo farò cancellare." "Oh no, Duke. Assolutamente no. Non so di cosa si trattasse esattamente, ma non deve cancellare I suoi impegni per causa nostra. Accettiamo il suo invito, ma solo a patto che questo non cambi i vostri programmi. Anzi, se fosse possibile, vorrei unirmi anche io al vostro pranzo. Finché mio padre non si rimette, dovrò prendere il suo posto, e non ci sarebbe occasione migliore, per conoscere le varie componenti della popolazione di Fleed." "Jariten, sei un ragazzo molto forte." Gli disse Koji, ammirato. "Mio padre mi ha insegnato ad essere così" gli rispose Jariten. In quel momento arrivò, tutto trafelato, il direttore dello spazioporto. Era un fleediano alto, corpulento, sulla quarantina. Si chiamava Shimmu. Vedendo Duke si mise sull'attenti ed esibì il saluto militare. "Maestà….." "Buongiorno direttore Shimmu. E' successo qualcosa?" "Purtroppo, devo informarla che – l'uomo riprese fiato – durante il parapiglia creatosi per l'atterraggio della nave da Boazan, qualcuno ha cercato di introdursi sulla Hikarimaru del signor Kabuto." "Che cosa?" esclamarono Duke e Koji, all'unisono. "E vi sono riusciti?" chiese Duke, la preoccupazione dipinta sul suo volto. "No. Quando hanno tentato di forzare la serratura elettronica, sono rimasti fulminati." "E ci credo." Disse Koji. I tre si voltarono. Koji aveva in mano un medaglione identico a quelli di Duke e di Maria. "Senza questo, nessuno potrebbe entrare nella Hikarimaru. Nemmeno io." "Koji, ma quel medaglione…." Esclamò Duke. "E' la copia esatta dei vostri. Ricordi? Fosti tu a mandarmi il progetto, assieme a quello per il motore fotonico. Il sistema di sicurezza della Hikarimaru è la copia perfetta, più in grande naturalmente, di quello di Grendizer. Soltanto io, tu e Maria siamo in grado di disattivarlo." Il sorriso si dipinse sul volto di Duke "Davvero ben fatto, Koji. Pensavo che quel meccanismo sarebbe stato troppo difficile da replicare, invece mio padre ci è riuscito. Meno male." Duke considerava ancora il dottor Umon come il suo padre adottivo. "Chissà a cosa miravano quei ladri…." Disse Maria. "Già. Direttore Shimmu, i corpi di quei tre?" "Per il momento sono stivati nella cella frigorifera dello spazioporto. Il dottor Lynxus, della polizia scientifica, se ne sta già occupando." "Bene, mi ci faccia parlare." Preceduti dal direttore Shimmu, i tre sia avviarono verso la cella frigorifera. Dentro di essa, il dottor Lynxus, un bastettiano dal pelo bianco e rosso, stava esaminando i cadaveri. Duke, Koji, Maria e il dir. Shimmu entrarono. "Allora dott. Lynxus? Che mi dice?" chiese Duke, in un tono che non ammetteva repliche. "Buongiorno maestà. Dunque, questi tre farabutti sono tutti veghiani. Ma guardi qua." Nel dire questo, il dottor Lynxus sollevò uno dei tre e lo distese di fianco. Poi sollevò i lunghi capelli del cadavere, scoprendone il collo. Vi era tatuato un piccolo teschio circondato da una fiamma. Il simbolo di Zarathos, il simbolo dei pirati. "Sono tutti e tre pirati spaziali." Affermò il dott. Lynxus. "Chissà da quanto si erano introdotti qui, su Fleed." "Ah, accidenti!" esclamò Duke. "Chissà a cosa miravano" disse il dir. Shimmu. "Ma è ovvio – rispose Koji – Miravano al contenuto della mia nave. Il loro obiettivo era Mazinger Z." "Ma è chiaro…Con Mazinger Z qui, a difendere il pianeta, io sarei stato libero di agire con Grendizer. Per questo hanno dapprima attaccato Koji nello spazio, e poi, vistisi respinti, hanno organizzato un diversivo per impossessarsi di Mazinger qui, su Fleed. Mal che andasse, se i boazani fossero tutti morti, si sarebbe creato un grosso incidente diplomatico che avrebbe scatenato la guerra tra Boazan e Fleed. Maledettissimi pirati." Il ragionamento di Duke non faceva una grinza. "Ma ciò vuol dire anche un'altra cosa. – gli fece eco Maria – Che c'è qualcuno, qui su Fleed, che li ha fatti atterrare sul pianeta. I controlli qui sono severissimi. Senza un'appoggio dall'interno, non sarebbero nemmeno riusciti ad uscire dallo spazioporto." "Il che ci porta a"….chiese Koji "Qui su Fleed c'è un traditore. Un alleato dei pirati spaziali." disse Duke, greve. Lo sgomento si dipinse sul volto del direttore Shimmu e del Dottor Lynxus. Come era possibile? Un traditore, un alleato dei pirati, proprio su Fleed? "Koji, Maria, andiamo a prendere i figli del Granduca, e poi torniamo a casa. E' assolutamente necessario che io sappia esattamente cosa è successo là fuori. Devo parlare con Rui Jariten." "Bene Duke." Rispose Koji. "Vado a preparare la macchina e a prendere i ragazzi." "Dottor Lynxus – concluse Duke – Portì questi tre gaglioffi al laboratorio centrale della polizia scientifica, e faccia fare tutti gli esami del caso, anche i più insignificanti. Voglio essere informato di tutto quello che riuscirete a sapere dai cadaveri di questi tre." "Molto bene." Rispose il bastettiano. Duke si diresse all'automobile. Vi salì dal lato passeggeri. Koji era alla guida. Maria, seduta sul sedile posteriore, teneva Rui Lamù abbracciata, per rassicurarla. Jariten era seduto al fianco di Maria. L'automobile partì per tornare a palazzo.

Capitolo 7 Tornati che furono a palazzo, Duke si preoccupò subito di far mettere a letto la giovane Lamù, e di farle somministrare dei tranquillanti perché dormisse meglio. Chiese a Kirika di prendersi cura di lei. Poi, sistemate tutte le altre faccende riguardanti l’arrivo dei nuovi ospiti, ricevette nel suo studio Rui Jariten. Koji e Maria erano presenti anche loro. Duke era seduto alla sua scrivania, Rui Jariten era seduto su una delle poltrone di fronte a Duke. Koji era seduto sull’altra poltrona, mentre Maria era seduta sul divanetto accanto alla parete. “Allora, Jariten. Mi racconti esattamente cosa è successo.” Rui Jariten ispirò, e cominciò a raccontare.

“Come certamente lei sa, Duke, non c’è molta distanza da coprire tra Boazan e Fleed.Sono tre giorni di navigazione spaziale. Per questo mio padre aveva deciso di non usufruire di una nave da battaglia per il suo viaggio, ma solo del suo yacht personale. Essendo la zona di spazio da percorrere una zona tranquilla ed intensamente trafficata, non ci sarebbe stato alcun pericolo. Il nostro imperatore, naturalmente si era opposto, e aveva insistito perché usassimo una nave da guerra. Mio padre aveva risposto che la nostra era una missione diplomatica, e che se l’avessimo iniziata atterrando con una nave da guerra su Fleed, la cosa non sarebbe certo stata di buon auspicio. Così siamo partiti in tranquillità. Lo yacht è, o per meglio dire era, piccolo, e richiedeva appena 10 uomini di equipaggio. L’essenziale per le manovre e la manutenzione. Lo spazio era del tutto libero, e le previsioni non davano alcun disturbo sulla nostra rotta. E infatti, il primo giorno di navigazione procedette tranquillo. Fu al secondo giorno che cominciarono gli imprevisti. Dapprima ci imbattemmo in una pioggia di meteoriti, assolutamente non prevista dai nostri osservatorii spaziali. Per evitarle fummo costretti a deviare e ad allungare di un giorno il nostro viaggio. Nonostante questo, tutto continuava ad essere ancora tranquillo. Poi, improvvisamente, una tempesta elettromagnetica fece impazzire tutti gli strumenti. Perdemmo il contatto radio con Boazan. Decidemmo di fermarci, per non correre il rischio di perderci nello spazio. Una nuova nube di asteroidi ci venne addosso, ma stavolta, da essa uscì una gigantesca astronave da guerra. Aveva un aspetto, grottesco, davvero molto inquietante. Sembrava un grosso aracnide dotato di una enorme bocca con due zanne enormi.”

“Un grosso aracnide, ha detto?” lo interruppe Duke. Premette alcuni pulsanti sulla sua scrivania. Lo schermo centrale, posto lateralmente alla scrivania, sul muro in alto, baluginò per un attimo, poi, su di esso, apparvero i diagrammi di una nave classe Mother Ban dell’esercito vegliano. “Era questa?” chiese Duke. “Era proprio quella.” Esclamò Jariten, inorridito. “Una Mother Ban di Vega!” Esclamò Duke. “Pensavo che non avrei dovuto mai più rivedere un simile incubo di astronave.” Jariten continuò il suo racconto. “Quella nave, ci attaccò con i suoi cannoni laser, incendiando due dei nostri motori. Tentammo una resistenza. Lo yacht era armato anche se debolmente. Le solite armi a basso potenziale che servono per spazzare via meteoriti e altri ostacoli dalla rotta. Naturalmente non riuscimmo neanche a scalfire lo scafo di quell’enorme ragno. Fu allora che la sua bocca comincio a vomitare mostri cibernetici e gladiatori metallici. “Mostri cibernetici ?” stavolta fu Koji a interrompere il giovane boazano. “Si, nonostante la loro corazza metallica, si vedevano chiaramente delle parti organiche ancora da completare. Quelle creature erano senza ombra di dubbio degli animali sottoposti all’operazione per diventare cyborg.” Koji si alzò dalla poltrona dove era seduto. Le mani strette a pugno, che tremavano dalla rabbia. “Maledetti. Hanno trasformato in quel modo delle altre creature innocenti. Non li perdonerò mai. Mai!” Detto questo sferro un pugno contro il muro che fece tremare leggermente le pareti. Duke si alzò dalla scrivania, andò vicino a Koji, gli mise una mano sulla spalla. “Avanti Koji, adesso calmati.” Koji si voltò verso l’amico. Gli occhi grondavano lacrime di tristezza e di rabbia. Se li asciugò senza farsi vedere dagli altri due e tornò a sedersi sulla poltrona. “Quei mostri cominciarono a perforare lo scafo. Un altro dei motori espolose. Gli strumenti saltarono tutti. A bordò divampò un incendio. Mio padre, per salvare un membro dell’equipaggio a cui stava per saltare un monitor in faccia, si prese l’esplosione sulla schiena. Quattro membri dell’equipaggio morirono sul colpo. Gli altri tre rimasero gravemente ustionati. Non so come, sono riuscito a raggiungere il timone della nave assieme a mia sorella. D’istinto ho fatto cambiare direzione alla nave, sperando di avere imboccato la rotta giusta per arrivare qui o per tornare su Boazan. Ma l’astronave-ragno e i mostri ci inseguirono. Pensavamo ormai di essere spacciati.”

Jariten fece una pausa. Duke aprì il frigorifero che teneva a fianco della scrivania. Ne estrasse una bottiglia d’acqua fresca. Prese un bicchiere dal mobiletto posto sopra il frigo e vi versò l’acqua. Offrì il bicchiere al boazano. Jariten prese il bicchiere e ne bevve il contenuto tutto d’un fiato.

“A quel punto accadde il miracolo. Una luce fortissima apparve davanti a noi. Intensa. Brillantissima. Da accecare. Sembrava un piccolo sole. Anche i nostri inseguitori ne furono abbagliati. E quando la luce si dileguò, al suo posto vi era una fiamma enorme. La fiamma cominciò piano piano a cambiare forma, fino ad assumere quella di un gigantesco uomo. Poi, piano piano si spense, rivelando un gigante d’acciaio rosso e argento, con una lunga criniera bianca. Costui ci indicò la direzione da prendere, alzando il braccio sinistro. Obbedimmo. Prendemmo quella direzione. Quando guardai nel monitor per vedere se i mostri o i gladiatori ci stessero inseguendo, il gigante stava lottando contro di loro, coprendoci la fuga. Io e gli altri tre sopravvissuti riuscimmo a tenere duro quel tanto che bastava per arrivare qui. Per fortuna, la vostra cintura orbitale, notando le nostre condizioni, ci ha fatto passare subito. E anche lo spazioporto era gia tutto mobilitato, quando siamo atterrati, con i motori che ancora bruciavano per lo sforzo.” “Mighty Leo!” esclamò Duke, sorpreso. “Quel gigante non poteva essere altri che Mighty Leo. Ma pensavo che fosse solo una leggenda.” “Scusa Duke, chi è Mighty Leo?” gli chiese Koji. “Mighty Leo è una antichissima leggenda di questa galassia. Si dice che sia una specie di divinità che compare quando la prosperità e la pace nello spazio sono in pericolo. Figlio del sole e portatore di luce.” “Molto romantico.” commentò Koji. “Mighty Leo era venerato dagli antichi abitanti di un pianeta ora disabitato, che ne hanno diffuso la leggenda.” Duke si alzò dalla scrivania. Si avvicinò alla biblioteca posta sulla parete opposta allo schermo. Ne estrasse un libro intitolato: ‘La civiltà del sole. Testimonianze sull’antico popolo di Rosetta’. Lo sfogliò, fino a trovare alcune foto, raffiguranti degli antichi pittogrammi. “Eccolo qua.” La foto rappresentava un uomo rosso con decorazioni argentee, e una lunga criniera che ne cingeva il capo. La faccia severa, gli occhi che sprigionavano luce. Duke fece vedere la foto a Jariten. “Ma è pazzesco!” esclamò il ragazzo. “Le decorazioni argentee che l’uomo rosso ha sul corpo in questo pittogramma…..corrispondono in tutto e per tutto a quelle che ho visto sul corpo di quel gigante.” Maria prese in mano il libro. Lesse la didascalia sotto la foto. ‘Rappresentazione di Mighty Leo, divinità del sole venerata dagli antichi Rosettiani.’ “Incredibile! Che un simile esere possa esistere….” “Sono tantissime le cose dello spazio che ancora non sappiamo.” Concluse Duke Fleed. Ache Koji prese in mano il libro e osservò il pittogramma. “Ma non è possibile!” esclamò “Che c’è Koji?” gli chiese Duke. “Questi pittogrammi, somigliano moltissimo a quelli che si trovano su alcuni isolotti del Giappone. Gli scienziati li hanno sempre considerati un mistero. Gli ufologi sostengono che non possono essere altro che la prova di visitatori dallo spazio. Ma allora è vero.” “Può voler dire una sola cosa, secondo me – disse Jariten - che in passato Mighty Leo abbia salvato anche la Terra. Anche su Boazan, abbiamo dei pittogrammi simili, ora che mi viene in mente, anche se non così dettagliati.” “Mighty Leo esiste veramente….che scoperta incredibile…..” esclamò Duke. Poi si rese conto che Jariten aveva praticamente concluso il suo racconto. “Bene Jariten. Credo che questo sia tutto. Sarà stanco immagino.” Duke premette un pulsante sulla sua scrivania. Dopo qualche secondo bussarono alla porta dello studio. “Avanti.” Rispose Duke. La porta si aprì. Un fleediano sulla cinquantina, vestito in quella che sembrava una livrea, era in attesa degli ordini del suo re. Era Ionas, il maggiordomo del palazzo. “Ionas, per favore accompagna il nostro ospite nel suo alloggio. E assicurati che non gli manchi niente.” “Bene maestà – rispose l’uomo – Se vuole seguirmi, prego” – rivolto al boazano. Jariten si alzò e lo seguì. “Maria, Koji. Potete andare anche voi. A me invece, ora spetta il compito più difficile. Avvertire Ra Hainel, l’imperatore di Boazan, di quanto accaduto.” Su questa nota, Duke divenne scuro in volto.

Intemezzo 2 Quanto tempo era passato da quella battaglia. L’essere conosciuto come Mighty Leo non lo sapeva. Era appoggiato malamente su un asteroide che stava vagando nello spazio. Il corpo ricoperto di ferite. Il braccio appoggiato al ventre, a coprire la ferita più profonda. Dalle ferite usciva del plasma liquido, che sembrava sangue. Il sangue della semidivinità, nata dal fuoco. “Questa volta mi sa che ho sopravvalutato le mie forze…” pensò…. “Bleargh….” Un fiotto di magma gli uscì dalla bocca. La falce di quella bestia cibernetica gli aveva probabilmente squarciato l’intestino, o quello che ad esso corrispondeva nel corpo umano. “Ormai sono alla fine…..Coff Coff Coff……E ancora cosi tanto da fare…..khaff…khafff…” Aveva affrontato da solo dieci mostri cibernetici e cinque gladiatori metallici che i pirati avevano scagliato contro quella piccola astronave passeggeri…..conscio che forse non ce l’avrebbe fatta….ma quelle erano vite importanti, da salvare a tutti i costi, anche se per farlo avrebbe dovuto rimetterci le penne. Se l’era anche cavata….era riuscito a respingere tutte le bestie e tutti i robot….ma poi…poi ci si era messa anche quell’astronave, a tempestarlo di raggi al vegatron…..raggi che avrebbero ucciso chiunque se fosse stato un normale essere vivente….e mentre respingeva l’astronave Mother Ban, i mostri ne avevano approfittato per coglierlo alle spalle, per attaccarlo con le loro zanne, i loro artigli…..uno di essi, dotato di una enorme falce, era riuscito a fare un taglio profondo all’altezza dello stomaco. Vistosi circondato e impossibilitato a fuggire, aveva deciso di usare l’arma finale a sua disposizione. “Fireeee Novaaaa!” aveva urlato….la sua criniera si era illuminata di un fuoco caldissimo, dapprima rosso, poi azzurro, infine bianco….come il fuoco delle stelle….aveva scagliato quel fuoco contro l’astronave e i mostri, che erano scomparsi dallo spazio senza lasciare tracce…..ma era già ferito….e usare il Fire Nova in quelle condizioni….voleva dire morte certa….. “Se solo….se solo fossi riuscito……Hikaru Makiba….su Fleed…devi andare…..su Fleed…..la pace nell’universo…..dipende anche…..Koff Koff Koff.” Un ultimo fiotto di magma dalla bocca. Gli occhi di Leo, fino ad allora brillanti di luce, cominciarono piano piano a spegnersi. Con un ultimo sforzo, alzò il braccio, riuscì a generare una piccola fiamma… “Và…..sulla Terra…..avverti…..avverti…..” Non fece in tempo a terminare la frase. Gli occhi si spensero del tutto. Il gigante, la semidivinità conosciuta come Mighty Leo, era morta. Il suo corpo si rimpiccioli a poco a poco, fino ad assumere sembianze e proporzioni umane. La pelle da rosso acciaio tornò ad essere di carne. La criniera bianca lasciò il posto a lunghi capelli rossi. Gai Lio era stato l’ultimo abitante del pianeta Rosetta. Ora che era morto, quel popolo era estinto per sempre. La fiamma restò per un’attimo accanto al suo antico padrone, quasi a voler piangerne la morte. Poi dopo alcuni secondi che sembravano non passare mai, prese, decisa, una rotta diretta. Accelerò sempre di più, sempre di più, sempre di più, fino ad oltrepassare la velocità della luce. Giunse in prossimità della Terra. Si fermò per pochi istanti, all’altezza della luna, riflettendo sul da farsi….poi, si divise in sei parti, ed entrò nell’atmosfera terrestre.

Capitolo 8
Uscirono tutti dalla stanza tranne Koji. Era curioso di vedere questo “imperatore di Boazan”, per cui chiese a Duke il permesso di restare ed assistere al colloquio. Duke acconsentì. Duke si sedette di nuovo alla scrivania, Koji si accomodò sul divanetto, lo schermo ben in vista. Duke sospirò. ‘Coraggio, via il dente, via il dolore’, pensò. Digitò una sequenza numerica sulla tastiera posta sulla sua scrivania. Lo schermo baluginò per un attimo, poi divenne grigio, percorso da sopra e da sotto da interferenze. Finalmente l’immagine si stabilizzò. Nello schermo comparve un giovane dai colori biondo scuri, gli occhi penetranti, due corna laterali leggermente ricurve in punta: Ra Hainel, il 126mo imperatore di Boazan. “Buongiorno Ra Hainel, imperatore di Boazan.” Lo salutò Duke. “Buonasera, Duke Fleed, re di Fleed.” Koji non pote’ fare a meno di notare che Ra Hainel aveva salutato Duke con un ‘buona sera’. Segno evidente che i fusi orari di Boazan e Fleed erano invertiti, o perlomeno lo erano quelli delle capitali dei due pianeti. “Come mai questa chiamata, Duke Fleed?” chiese Ra Hainel “Purtroppo, non sono foriero di buone notizie, Ra Hainel.” Il volto dell’imperatore si accigliò. Duke raccontò per filo e per segno quanto gli era stato riferito dal giovane Rui Jariten, spiegando anche che il Granduca Rui Jangal e i boazani feriti erano in cura presso il miglior ospedale del pianeta, e che Rui Jariten e Rui Lamù erano momentaneamente suoi ospiti. “E’ un sollievo per me apprendere che il Granduca sia salvo.” Poi il suo volto assunse un aspetto severo. “Comunque, Duke Fleed, ciò che mi dite è molto grave. Molto grave. La responsabilità della sicurezza dei viaggiatori spaziali diretti a Fleed è interamente vostra. Cosa pensate di poter costruire, se non siete in grado nemmeno di debellare una manica di masnadieri dello spazio?” “Purtroppo la situazione non è così semplice, Ra Hainel. Dalle nostre indagini risulta che questi pirati stanno diventando ogni giorno più forti e numerosi. E la loro organizzazione pare che stia crescendo in fretta.” “E cosa intendete fare per fermare tutto ciò, Duke Fleed?” “Purtroppo, come sa, Fleed è un pianeta tornato da poco florido. Per il momento abbiamo ancora una sola grande metropoli: la capitale Fleed City. Alcune zone del pianeta non sono ancora abitabili. Stiamo lavorando per bonificarle. Lei capisce che in queste condizioni noi non….” Ra Hainel lo interruppe. “Queste sono solo scuse, Duke Fleed. Non disponete forse di quel fenomenale disco robot, di Grendizer, che nessuno dei nostri esimii scienziati è finora riuscito a replicare?” “Ma Ra Hainel, non posso uscire con Grendizer lasciando il pianeta indifeso. E se lo attaccassero, che accadrebbe? I cittadini non possono ancora difendersi. Non abbiamo ancora un esercito regolare. Siamo solo civili qui. Verrebbero tutti massacrati. E io non posso permettere una cosa del genere. Grendizer è la nostra unica ed ultima risorsa.” Ra Hainel parve calmarsi. “Me ne rendo conto.” – disse. Stette in silenzio per qualche istante. “Allora, vorrà dire che prenderò io in mano l’intera faccenda. Boazan può ancora vantare un fortissimo esercito interplanetario. Il migliore di tutta la galassia. Farò pattugliare ogni sistema, dal piu piccolo al più esteso, dalle mie squadre di dischi, fino a scovare questi dannati pirati e a dbellarli.” La voce di Ra Hainel, nel dire queste parole, era stata veemente. Riprese fiato. “Questo vuol dire, naturalmente, che Voi mi darete carta bianca e appoggio logistico presso il vostro anello orbitale e lo spazioporto, non è vero?” Duke Fleed non rispose. Dare carta bianca così ai Boazani? Quello che Ra Hainel chiedeva era improponibile. Significava praticamente consegnare il pianeta nelle mani del suo esercito. Ma al momento, non c’era altra soluzione. “Va bene, Ra Hainel. Avete il mio consenso per utilizzare sia l’anello orbitale che lo spazioporto. Ma i vostri soldati avranno accesso solo a quelle strutture. L’ingresso in città sarà loro proibito. Non voglio allarmare i cittadini.” “Mi sembra una condizione più che ragionevole. Ah, ma c’è ancora una cosa. Per debellare questi pirati avremo bisogno di tutti i dati che possiamo racimolare. E questo include anche i dati conservati nell’astronave del suo ospite terrestre. So che si è scontrato con loro arrivando su Fleed. E certamente l’astronave avrà conservato tutti i dati dello scontro nella sua scatola nera. Quei dati devono essere consegnati a me.” “Che cosa? Ma non potete chiedermi una cosa del genere….quella nave non mi appartiene.” Rispose Duke Fleed. “Duke Fleed. Voi siete il re di Fleed. La massima autorità sul pianeta. Non mi direte che avete difficoltà a sequestrare una nave che si trova sul vostro territorio, vero?” “Ma Ra Hainel….quell’astronave appartiene alla Terra. E la Terra è un prezioso alleato per noi Fleediani….Se io adesso sequestrassi la loro nave…..rischieremmo un incidente interplanetario.” “Devo dunque dedurne che non avete nerbo?” disse Ra Hainel sprezzante. Duke non rispose. Appoggiò i pugni sulla scrivania. Tremava per l’indignazione. Qualsiasi cosa avesse fatto, non sarebbe stata una cosa buona per Fleed. Koji si alzò dalla poltrona. Si avvicinò allo schermo. “Va bene, sua altezza. Avrà quei dati.” Duke guardò Koji, stupito, ma anche grato dell’intervento dell’amico. “Ma non prima del termine della cerimonia di dissigillamento della Hikarimaru, che avverrà domani” disse Koji con voce ferma, e guardando Ra Hainel dritto negli occhi dal teleschermo. “Uhm….” Ra Hainel si accarezzò il mento. “Me lo promettete, come ambasciatore della Terra, Koji Kabuto?” “Non posso prometterglielo come ambasciatore, dal momento che nessuna autorità terrestre mi ha investito di questo titolo.” Koji fece una pausa, ad effetto. “Ma posso prometterglielo come uomo. Domani, al termine della cerimonia, lei avrà quei dati.” L’imperatore di Boazan sorrise. “Il suo valore e il suo coraggio sono noti in tutta la galassia, Koji Kabuto, come lo sono anche quelli di Duke Fleed, che mi fregio di poter considerare un amico e un buon alleato di Boazan. Molto bene. Domani, al termine della cerimonia, consegnerà il dischetto con i dati al duca Rui Jariten, che provvederà a recapitarmeli. E ora, vogliate scusarmi, ma altri affari richiedono la mia attenzione. Buona sera a voi, Koji Kabuto e Duke Fleed.” Lo schermo si spense. Duke ringraziò di nuovo l’amico. “Grazie Koji. Anche da parte di tutta Fleed.” “Non devi ringraziarmi. Quei dati sono davvero poca cosa in confronto alla pace. Certo però che quel Ra Hainel è un bel tipino eh?” “Non lo so. Io credo che stesse recitando una parte.” “Dici?” “Secondo me, ha voluto metterti alla prova, Koji. Ho avuto diverse occasioni per frequentarlo, in questi due anni, e credimi, non è una persona insolente come ha voluto far credere oggi. Sono sicuro che stesse recitando una parte. A beneficio di chi, non lo so.” “Sarà….”

Sul pianeta Boazan, nel palazzo reale, nell’ufficio dell’imperatore. Ra Hainel spense il comunicatore. Si appoggiò sullo schienale della poltrona, rilassandosi per un attimo. Tamburellò con le dita sull’elsa della sciabola che portava sempre con se. Dietro a lui, Li Kazarine, l’imperatrice, aveva assistito a tutto il cooloquio.

*L’imperatrice Li Kazarin: fu promessa in sposa a Ra Hainel fin dalla tenera età di sei anni, per via di un accordo tra famiglie nobili. Erano le leggi delle tradizioni nobiliari boazane che non si potevano assolutamente infrangere. Per questo, fu educata fin da piccola ad essere una brava moglie. Sopraggiunta l’adolescenza, a 12 anni, come tutte le ragazze nobili, anche Li Kazarin ebbe il suo momento di ribellione. Si vocifera che fosse innamorata del cugino, di dieci anni piu vecchio di lei. Fu allora che i genitori le presentarono Ra Hainel il suo promesso sposo. Non si sa esattamente cosa Li Kazarin e Ra Hainel si siano detti durante quelle due ore di passeggiata che passarono insieme. Fatto stà che da quel momento, Li Kazarin non si ribellò più e accettò, dimostrando anche un certo orgoglio per il suo status, il suo ruolo di futura moglie di Ra Hainel. I due si sposarono a 16 anni. Anni dopo la guerra tra Grendizer e Vega terminò con la sconfitta di quest’ultimo. Terminato l’appoggio di Vega, grazie al quale Zu Zambazir era salito al potere, il popolo aveva cominciato dei moti rivoluzionari che si erano accresciuti, fino alla cosiddetta “Rivoluzione di primavera.” Fu allora che Ra Gool salì al trono, e i giovani Ra Hainel e Li Kazarine si ritrovarono improvvisamente investiti del ruolo di ‘principi ereditari’. Fu probabilmente in quel momento che il loro legame si rafforzò ancora di più, trasformandosi in amore vero e proprio. Alla morte di Ra Gool, Ra Hainel e Li Kazarine salirono altrono quali imperatori di Boazan. Da quel momento, Li Kazarine non ha mai cessato di dare appoggio a Ra Hainel, sostenendolo e consigliandolo sempre, anche nei momenti di maggiore crisi.*

“Non sarai stato un po’ troppo duro, con il re Duke Fleed?” chiese Li Kazarine. Hainel la guardò con la coda dell’occhio. “Ormai dovresti conoscermi bene, Kazarine. Proprio tu, farmi questa domanda…” “Che avresti fatto, se fosse scoppiato un incidente diplomatico?” “Uno degli ottimi ministri al mio servizio mi avrebbe convinto che sbagliavo, e mi avrebbe consigliato di fare le pubbliche scuse al re di Fleed. Cosa che avrei puntualmente fatto, per evitare di incorrere nel contrattacco di quel Grendizer.” “Avevi pensato a tutto fin dall’inizio eh?” Hainel annuì. “Questo significa anche che non farai atterrarei tuoi dischi su Fleed.” “Certo che no. Ma volevo mettere alla prova il giovane Kabuto. Vedere quanto era forte la sua amicizia per Duke Fleed. Ora so che è un valoroso, una persona di cui ci si può fidare.” Li Kazarine si avvicinò alla poltrona. Abbracciò Hainel. Lo baciò sulla guancia. “Sei un vecchio volpone, lo sai?” “Kazarine ti prego. Lo sai che anche i muri hanno orecchie, qui” Kazarine si sedette sulla ginocchia di lui. Hainel le accarezzò la guancia. Sospirò “Invidio veramente Duke Fleed sai?. Il suo è un regno giovane, da poco ricostruito dopo quella tremenda distruzione. Libero da tutte queste fromalità, queste etichette, tradizioni… - fece una pausa – libero da tutta l’ipocrisia e falsità che regna qui su Boazan.” Kazarine gli sorrise. Un sorriso dolcissimo. “Ma, mio re, non stai forse combattendo perché anche Boazan sia così?” “Chissà se riuscirò a vedere il giorno in cui lo sarà . Qui ci sono nemici ogni dove. Non posso sapere con certezza chi mi sia veramente amico e chi no. Per questo devo portare questa maschera, impersonare il principe giusto, ma impulsivo…..Far credere ai miei nemici che possono manovrarmi come vogliono, per farli uscire allo scoperto….mentre io vorrei solo che il popolo viva felice, senza doversi preoccupare della fame, delle carestie, delle guerre.” “Tuo padre Ra Gool ha già fatto tanto. Ha introdotto tasse piu giuste per il popolo, dopo le rapine di Zambazir, si è impegnato, aprendo le casse dello stato, e anche le sue personali, per aiutare i più indigenti….E tu, stai degnamente seguendo i suoi insegnamenti. “ “Si, ma è così difficile a volte….” Kazarine gli cinse il collo con le braccia. Si accoccolò su di lui. “Ricordi – le chiese improvvisamente Hainel – ricordi, quando ci siamo conosciuti?” “Certo che me lo ricordo. Io avevo 12 anni. Tu ne avevi 14….ma avevi già le idee ben chiare su come si sarebbe svolta la tua vita.” “Già….gli insegnamenti di mio padre….mi portava sempre con se, quando andava in giro per le città, di notte, a portare aiuti ai più poveri. Era un ottimo medico, prima di diventare imperatore. Mi diceva sempre che dovevo vedere il mondo per come era davvero, e non solo attraverso il filtro della luce dorata del palazzo.” Hainel fece una pausa….poi continuò. “Avevo circa 10 anni, quando decisi che avrei lottato per cambiare le cose su questo pianeta. Ero uscito con mio padre, per uno dei suoi soliti giri di visite. Ma poi, per qualche motivo, ci separammo. Io mi persi per la città. Feci amicizia con un bambino. Mi portò a casa sua, una piccola baracca che divideva con la madre e dieci fratelli. Divise il suo scarno pasto con me. La madre era molto malata, ma non poteva curarsi, perché non aveva denaro. –Mio padre è un buon medico- dissi a quei bambini. Aspettatemi fiduciosi. Vado acercarlo. Mi precipitaifuori dalla baracca. Corsi per non so quanto tempo, bussando di casa in casa, chiedendo se non avessero visto mio padre. Lo trovai. Lo portai subito alla casa di quei poveretti. Ma la madre non ce l’aveva fatta. Era morta prima che arrivassimo. Vedere quei bambini, alcuni di essi anche piccolissimi, piangere per la morte della madre, fu uno spettacolo davvero straziante. Che ne sarà di loro? Mi chiesi. Cosa potranno mai diventare nella vita? Nella migliore delle ipotesi dei ladri e dei delinquenti. Ma perché? Mi chiesi. Perché? Il bambino che mi aveva aiutato era stato generoso con me, mi aveva anche dato parte della sua scarsa razione di cibo. Io avevo tutto, loro niente. Io sarei cresciuto nell’ozio, mentre loro sarebbero probabilmente morti di stenti. Non è giusto, urlai. Scoppiai a piangere. Un pianto dirotto che nemmeno mio padre seppe fermare. In quel momento decisi che le cose sarebbero dovute cambiare, su Boazan. Smisi di perdere tempo, come avevo fatto fino a quel momento. Mi dedicai anima e corpo allo studio. Volevo diventare medico, come mio padre. Volevo continuare la sua opera. Mi laureai in medicina presso l’accademia delle scienze di Boazan, con il massimo dei voti. Ma poi la guerra tra Grendizer e Vega finì. Mio padre intravide la possibilità per un cambiamento. Si diede da fare. Diffuse le sue idee per una società più giusta. Il popolo lo ascoltò. Lo seguì. Zambazir fu rovesciato. Mio padre diventò imperatore. E noi i suoi eredi. Ho la laurea in medicina, ma fnora non ho mai esercitato per un solo giorno. E mi domando se questo sia giusto….A volte ho la sensazione che potrei fare molto di più come medico che come imperatore.” Hainel sospirò. “Come potrei dimenticare il giorno in cui ci siamo conosciuti, mio re?” gli sorrise Kazarine. “Avevo 12 anni. Ero una ragazzina viziata e capricciosa. Con una cotta impossibile per mio cugino Li Zaki. Non ne volevo proprio sapere di diventare la moglie di un ragazzino che nemmeno ancora conoscevo. Feci di tutto, tutti i dispetti possibili e immaginabili, pur di convincere i miei genitori a fare in modo di essere sciolti dalla promessa. Ma poi mio padre si arrabbiò. Mi disse, con il suo cipiglio severo: E va bene Kazarine. Hai vinto. Ma prima di decidere, vorrei fartelo almeno conoscere. Se anche dopo averlo conosciuto, mi dirai che non ne vuoi sapere, allora al diavolo le promesse e le tradizioni. Cosi fu organizzato in tutta fretta un pranzo informale tra le nostre due famiglie. Quando Ra Gool entrò a casa nostra accompagnato da te, tu non mi degnasti neanche di uno sguardo. Salutasti i miei genitori e me in maniera molto cortese , ma perfettamente formale. Anche a tavola, durante il pranzo non ti scomponesti più di tanto. Mangiasti regolarmente, secondo l’etichetta. Poi, finito il pranzo, i nostri genitori ci dissero di fare una cavalcata. Tu accettasti, sempre senza profferire parola. Quando fummo soli, stufa del tuo silenzio, e arrabbiata perché fino ad allora mi avevi ignorato, decisi di rivolgerti la parola. Ehi, sei sempre così silenzioso tu? Ti dissi. Ricordi cosa rispondesti?” “Questa per me è solo una inutile perdita di tempo.” “Già. Rispondesti proprio così. Io mi arrabbiai moltissimo. Come una perdita di tempo. I nostri genitori decidono i nostri destini cosi, e tu mi dici che è una perdita di tempo? Tu mi guardasti con uno sguardo severissimo. Kazarine, lei è mai stata fuori dai possedimenti di suo padre? Si è mai recata in città? Mi chiedesti. Risposi di no. Lo sa che in città i poveri non possono nemmeno decidere del proprio destino? Sono costretti a rubare, a volte anche ad uccidere per sopravvivere. Molti di essi muiono di stenti perché non si possono curare. La maggior parte dei bambini non sopravvive oltre il decimo anno. Io inorridii. Naturalmente sapevo tutto questo, ma non l’avevo mai visto di persona. E nemmeno me ne curavo. Ma dal tuo sguardo capii che invece, tu avevi visto tutto. Di fronte a tutto questo, mi dicesti, ha importanza il nostro matrimonio? Rimasi molto turbata dalle tue parole. Quando tu e tuo padre rincasaste, dissi a mio padre che non avevo ancora deciso del tutto cosa fare. Gli chiesi se poteva fare in modo che ci rivedessimo. La seconda volta fosti piu morbido. Mi chiedesti scusa, per essere stato sgarbato. Mi dicesti: Io ho un grande sogno, Kazarine. Voglio che le cose qui su Boazan cambino. Ma per poter fare questo devo essere perfettamente integrato in questa società, come mio padre. Per poter cambiare le cose devo cominciare a cambiarle dall’interno. E se questo vuol dire sposarmi con una persona che nemmeno conosco, perché così vuole la tradizione, allora lo farò. Lo farò. Perché altri non lo debbano più fare. Poi mi dicesti: Kazarine, io non le chiedo di amarmi. Non potrei mai farlo. Ma vorrei chiederle di essermi amica, e di aiutarmi a cambiare le cose, di condividere questo sogno con me. Capirò, se non vorrà farlo, ed anche io insisterò con mio padre perché venga sciolta questa sciocca promessa. In quell’istante compresi molte cose. Compresi che mio cugino, nonostante il suo bell’aspetto e il suo fisico atletico, non valeva niente. Era solo un vanaglorioso che viveva grazie allo status e al patrimonio di famiglia. Tu invece avevi uno scopo. Lottavi per coloro che non avevano un futuro, lottavi per darglielo, quel futuro. In quel momento capii che anche io volevo essere parte di quel tuo sogno. Smisi di fare i capricci e dissi a mio padre che avrei mantenuto la promessa, e che ti avrei sposato, senza condizioni. Tu non lo sai, ma ero già innamorata di te. “Anche io ti amavo, ma non potevo permettere che i miei sentimenti interferissero con quella che ormai consideravo la mia missione. Non te l’ho mai detto, ma il giorno che ci siamo sposati, ero l’uomo più felice del mondo.” Si baciarono, dapprima teneramente, poi con sempre maggiore foga. Poi si staccarono. “Ah, Kazarine….non ho più l’età per queste cose…..non sono più un ragazzino.” “Non dire così mio re….siamo ancora giovani…. e poi….dovremo pur darlo, un erede al trono di questo pianeta. O vogliamo che altri disgraziati come Zambazir se ne impossessino?” Hainel rise, divertito. Kazarine gli fece eco. “Hai ragione. Sai che ti dico? Basta lavorare. Il resto della serata ce lo prendiamo per noi. Vieni Kazarine, facciamo una passeggiata in giardino. Parliamo un po’.”

Capitolo 9
Pianeta Helios, ai confini della galassia. Un tempo culla di una civiltà avanzata, di pari grado a quella boazana. Da due anni non è più cosi. Esattamente da quando le navi nere dei pirati scesero sul suolo del pianeta. La popolazione era pacifica, e scarsamente armata. Non poterono opporre molta resistenza. Il castello, unica difesa del pianeta, e sede dei regnanti, fu presto abbattuto dalle navi nere. Portavano una strana effige, disegnata sui loro scafi: un teschio sormontato da una fiamma. Si dice che quello sia il simbolo di Zarathos, il simbolo della vendetta. La popolazione di Helios è ora ridotta in schiavitù, costretta a lavorare nelle miniere per estrarre un minerale di cui neanche sospettavano l’esistenza. Un metallo speciale, con cui era possibile costruire armi invincibili. Il castello era ora occupato dal capo dei pirati: Sincrain il terribile. Era, questi, un giovane sui 25 anni. All’apparenza era umano, ma la pelle blu, le orecchie a punta, i capelli bianchi, e gli occhi, decisamente da rettile, indicavano un’origine aliena. Era un giovane spietato, che non provava pietà per nessuno, e che sarebbe passato sopra tutto e tutti pur di raggiungere i suoi scopi. Aveva cominciato la sua carriera come semplice pirata, e poi, aveva bruciato le tappe, fino a diventare il capo indiscusso dei pirati spaziali. Seduto su un trono che non gli apparteneva, circondato da uno stuolo di schiave, stava ascoltando con aria assonnata il rapporto di uno dei suoi sottoposti. “L’estrazione del metallo Z sta procedendo a gonfie vele, generale. Presto ne avremo così tanto da potere costruire una flotta invincibile.” “Mh, mh…piuttosto, Kosak….mi hanno riferito di disordini nelle miniere….cosa mi dici di questo?” “Ah….heh heh….sono voci esagerate, generale….è solo un ragazzo un po’ irrequieto che….” “Kosak…lo sai che non voglio interferenze….chi è questo ragazzo?” “E’ solo un ragazzino che….” “Kosak. Ti ho fatto una domanda. Rispondi e basta.” “E’ un giovane di 16 anni. Ogni tanto si rivolta contro di noi, quando infieriamo sui vecchi e stanchi…sulle donne…sui bambini….ci si rivolta contro, li difende. Lo puniamo, lo facciamo lavorare senza dormire ne mangiare….ma quel ragazzo ha una forza ed una volontà incredibili….le sue ferite guariscono dopo pochissimo tempo….è come se…..come se….” “Come se?” “So che può sembrare assurdo, ma…” “Sputa il rospo Kosak…subito!” “Come se traesse la sua forza dal fuoco e dal calore di quell’inferno…..” “Hmmm…..Fammelo vedere, questo giovane….” Kosak manovrò alcuni pulsanti sulla consolle della sala comando. Sullo schermo apparve la foto di un giovane di 16 anni, di carnagione chiara. I suoi capelli erano di un rosso intenso. “Si chiama Kai.” “Kosak….questo Kai deve essere sottomesso…..a qualsiasi costo….se necessario, puoi anche ucciderlo.” “Be..bene generale.” A Kosak vennero i sudori freddi. Sapeva che se avesse ucciso il giovane Kai, la popolazione non avrebbe esitato a ribellarsi.
Le miniere.
Un gruppo di persone era intento a scavare un filone di minerale scoperto da poco. Il caldo era infernale. L’aria che si respirava sapeva fortemente di zolfo. Alcune sentinelle dei pirati, con delle maschere antigas, armati di fruste neuroniche, stavano controllando lo svolgimento dei lavori. Tra le persone che stavano lavorando vi era anche Kai. Lavorava alacremente con la sua piccozza, salvando le pepite del misterioso metallo in una cesta. Improvvisamente, si udì un urlo. Uno dei minatori si accsciò a terra. Aveva spaccato una vena da dove era fuoriuscita una soffiata di zolfo. Le sentinelle accorsero sul posto. Cominciarono afrustare il malcapitato. “In piedi, lavora, schiavo!” Kai lasciò cadere la piccozza che aveva in mano. Corse dove stavano i soldati. Afferrò la frusta neuronica. Su di lui sembrava non avere effetto alcuno. “Non lo vedete che si è preso un soffio di zolfo in faccia? Come pretendete che possa continuare a lavorare? Si è avvelenato.” “Taci ragazzino. Questi non sono affari tuoi.” La guardià cominciò ad infierire su Kai, con la sua frusta. Quando si fu sfogato per bene, riattaccò la frusta alla cintura, ansimante…..”Stasera niente cibo per te, ragazzino. E niente riposo. Farai il turno doppio. Così impari a ribellarti.” Kai era steso a terra. Il suo corpo, segnato dalle frustate, tremava ancora. Ma Kai sapeva che presto, le ferite sarebbero sparite del tutto. E che entro qualche ora non averebbe sentito più alcun dolore. E anche il doppio turno e la mancanza di cibo….non lo impensierivano più di tanto. Da quando aveva cominciato a lavorare in miniera, non si era mai sentito cosi forte, quasi che la dentro ricevesse una quantità infinita di energia. Ma ora bisognava pensare a quel povero disgraziato che si era avvelenato. Stava soffocando. Kai sapeva cosa fare. Appoggiò la sua mano sul petto del malcapitato. Uno strano calore si sprigionò dal suo palmo. Kai si concentrò. In pochi minuti il minatore smise di tossire. Il suo respiro tornò regolare. Kai tornò al suo posto, raccolse la sua piccozza…..ricominciò a scavare.

Pianeta Dainos. All’ingresso della nebulosa di Vega.
Sadak, capitano dei pirati, non era per niente contento. Anzi, era molto preoccupato. A vederlo da lontano, poteva essere scambiato per un bastettiano. Vedendolo da vicino, invece, si potevano notare le orecchie molto più grandi e un volto quasi umano. Sembrava un incrocio. Ma nessuno sapeva con precisione le sue origini. Nemmno lui stesso. Sin da piccolo era stato Sadak e basta. Un crudele assassino, nient’altro. Poi, era avvenuto l’incontro con Sincrain, che si era dimostrato molto più forte di lui, in combattimento. Sincrain avrebbe potuto ucciderlo, invece lo aveva risparmiato. I forti comandano. Questa era la legge dei pirati, e così Sadak si era messo al servizio di Sincrain. Era stato mandato in quella zona dal generale in perosona, con il compito di catturare bestie da trasformare in cyborg. E invece, cosa era successo? Dapprima aveva avuto l’ordine di fermare quell’astronave terrestre. Una semplicissima astronave da carico, aveva detto quell’idiota di Narkis. Una preda facile. Certo, come no. Una fortezza volante, dentro la quale era stivato anche un micidiale robot da combattimento con due veicoli di supporto e chissà cos’altro ancora. Aveva perso una delle tre Mothership che gli erano state affidate, la prima bestia che avevano trasformato, e un robodisco gladiatore. Proprio una preda facile. E come se non bastasse, da una settimana a questa parte, non riuscivano piu a catturare bestie. Da quando quell’enorme tartaruga era arrivata sul pianeta. Un esemplare magnifico, una preda eccezionale, aveva pensato. Come no. Quando avevano tentato di catturarlo aveva vomitato fiamme addosso ai miniufo, distruggendoli. Poi era atterrato sul pianeta. Sadak fece partire un filmato. Mostrava un miniufo in volo, intento nella caccia. Un bagliore improvviso. Il miniufo era stato tranciato in due da quella che sembrava una lama fatta di fiamme. Sadak mandò avanti il filmato. Un’altra scena presentava quella famosa tartaruga, circondata da tre robot gladiatori, armati di tutto punto. I tre robot le si avventano contro. Ma quella bestia, li evita, schiva i loro aritgli, poi, con una mossa degna di un karateka, fa un giro su se stessa e con un calcio spezza il fianco di uno dei robot. E poi ecco. La sua mano si illumina. Una lama fatta di fiamma si materializza nel suo pugno. Un fendente. Ed anche l’altro robot se ne va. Il terzo viene letteralmente fuso dalla fiamma emessa dalla sua bocca. “Ma che diavolo è quella bestia? Sembra quasi possedere un’intelligenza superiore….ma non è possibile. Non una bestia di quelle dimensioni.” Un’altra scena…stavolta la tartaruga è circondata da minifo. Quelli davanti vengono spazzati via dalla sua fiamma, mentre quelli dietro a lei vengono perforati a uno a uno da delle piccolissime ma micidiali scaglie che ha lanciato dal suo guscio. Quelli a fianco, semplicemente vengono stritolati dalle sue zampe. “Maledizione!” Sadak scagliò a terra il bicchiere da cui stava bevendo un liquido verdastro. Questi si spaccò in mille pezzi. “hehehehe, povero capitano Sadak” ridacchiò una voce dietro a lui. Sadak si voltò di scatto. Un uomo, vestito di un’armatura bianca in petto e rossa in vita, stava appoggiato alla parete, con le braccia incrociate. Il casco che teneva in mano ricordava vagamente le fattezze di una scimmia. Lui stesso, con la sua lunga capigliatura e i basettoni, aveva un che di scimmiesco, pur essendo umano. In testa indossava una specie di sottilissima tiara d’oro. “E tu chi sei? Come hai fatto ad entrare? Soldati a me.” Dieci pirati entrarono dalle porte scorrevoli, avventandosi sullo sconosciuto. Si accalcarono attorno a lui, tentando di afferrarlo, chi per una gamba, chi al braccio, chi al collo…. “Ehi, guardate che io sono qui.” Disse lo sconosciuto, ora appoggiato all’altra parete. Stava giocherellando con uno strano bastoncino, le cui estremità somigliavano a bocche da fuoco di pistole laser. Il capitano Sadak sgranò gli occhi. “Ma allora che cosa hanno afferrato i miei uomini?” I dieci soldati si scostarono dalla figura su cui erano stati ammucchiati fino a pochi secondi prima. La figura dell’uomo in armatura era stesa a terra. Ma poi emise un bagliore e scomparve. Lo sconosciuto, appoggiato all’altra parete esplose in una fragorosa risata. “Bwahahahahahah Hahahahaha.” “Ma tu chi diavolo sei?” Lo sconosciuto tornò serio. Si avvicinò al capitano Sadak, finché i loro volti non furono a due centimetri l’uno dall’altro. “Tranquillo, ‘capitano’. Gli insetti come te, non mi interessano. Sono venuto qui, perché ho sentito che in questa galassia ci sono dei guerrieri valorosi con cui misurarmi.” “Guerrieri, qui? E chi sarebbero?” Lo sconosciuto, alzò il pollice della mano destra, indicando lo schermo, che stava ancora trasmettendo il filmato della tartaruga. “Ma tu chi…. Chi sei?” chiese di nuovo Sadak, in preda al terrore. “Io – disse lo sconosciuto, sorridendo – mi chiamo Hanuman.” “Che?” Il terrore e lo sgomento si dipinsero sul voltodi Sadak. “Hanuman, il cyborg folle? Ma…ma…. Tu eri scomparso….” “Stavo solo aspettando qualcuno forte abbastanza con cui scontrarmi.” Hanuman avvicinò di nuovo il suo volto a quello di Sadak. “Ho deciso di darti una mano contro quella tartarugona. Che ne dici, eh?”

Capitolo 10
Una volta entrate nell’atmosfera terrestre, le sei fiammelle si riunirono. Viaggiarono fino a raggiungere il giappone. Qui si divisero di nuovo. Avevano degli obiettivi ben precisi….

All’istuto per le ricerche sulla foto potenza, Sayaka stava dormendo tranquilla nella sua stanza. Ormai si era come rassegnata. Koji aveva scelto Maria. Non c’era più niente da fare. Inutilmente aveva tentato di trattenerlo sulla Terra, anche opponendosi a quel regalo per Maria, su cui non c’era alcuna ragione per opporsi. Ma ora, forse, si sentiva più calma. Aveva cominciato ad uscire con Ryoma Nagare, da quando questi era tornato dalla Luna, una settimana prima. Forse stava nascendo qualcosa tra loro due? Sayaka non ne era certa. Ma stava bene in compagnia di Ryoma. Le ricordava Koji, per certe cose. Per altre, invece, era completamente diverso. Il sonno di Sayaka, all’improvviso fu come turbato. La ragazza avvertì la strana sensazione di sentirsi come osservata. Aprì gli occhi, si sollevò. “Aaaah….” Una fiammella stava fluttuando di fronte di lei. Aveva uno strano colore che variava dal rosso all’azzurro…..

Alla Fortezza delle Scienze, Jun e Tetsuya erano immersi in un sonno profondo. Da quando Tetsuya si era ristabilito, avevano deciso di vivere insieme, occupando gli appartamenti del dott. Kabuto. Durante il periodo di riabilitazione, Jun era stata vicina a Tetsuya per tutto il tempo. Lui si era accorto di lei. Per la prima volta, aveva capito quanto fosse importante, per lui. Convivere era stata una decisione naturale, per due che avevano già condiviso così tanto nella vita. Tetsuya si svegliò di soprassalto. Per un guerriero come lui, era normale dormire con tutti i sensi all’erta. E quella improvvisa sensazione di essere osservato lo infastidiva parecchio. Si sollevò sul letto. Vide quelle fiammelle dal colore variante dal rosso all’azzurro volteggiare di fronte a lui. Toccò la spalla di Jun. La scosse quasi impercettibilmente. Anche Jun si svegliò. Vedendo Tetsuya concentrato a fissare qualcosa davanti a lui, anche le si voltò a guardare. Si spaventò, ma non gridò. “Kitsunebi!” sussurrò a Tetsuya. (lett.: fuoco volpe…la volpe è un animale notoriamente dispettoso e trasformista. Kitsunebi sarebbero, in pratica, i fuochi fatui). Tetsuya le fece cenno di fare silenzio. “Non sembrano ostili. Vediamo che fanno.” Sussurrò. Jun annuì. Le due fiammelle si fusero, diventando una sola, poi cominciarono a volteggiare in circolo sopra i due. “Sembra quasi che vogliano dirci qualcosa.” Sussurrò Jun. “Proviamo ad alzarci.” Si alzarono in piedi. Jun indossava una camicia da notte color giallo chiaro, Tetsuya invece, il suo solito pigiama a strisce da “galeotto”. Jun cercò istintivamente la mano di Tetsuya. Era una soldatessa, una combattente, ma del soprannaturale aveva paura. Tetsuya le strinse la mano. Non lo dava a vedere, ma anche lui aveva paura. Ma “la paura uccide la mente” come gli aveva insegnato il dottor Kabuto. Dovevano stare calmi, non agire per primi. Dovevano conoscere la minaccia a cui andavano incontro. Fecero un primo passo. La fiammella si allontanò, mantenendo la stessa distanza di prima. “Non è ostile. Non vuole attaccare.” Concluse Tetsuya. “Vuoi dirci qualcosa vero? Ti ascoltiamo, parla.” Sembrò quasi dire con gli occhi alla misteriosa fiamma. Questa cominciò a muoversi, uscendo dalla stanza. Sempre tenendo Jun per mano, Tetsuya disse. “Seguiamola!” I due uscirono dalla stanza. Seguirono la fiammella lungo i corridoi della Fortezza delle Scienze, fino all’ufficio del direttore. Un tempo, quello era stato l’ufficio del Dottor Kenzo Kabuto, ora invece apparteneva a Gennosuke Yumi…. Ma Tetsuya, in qualità di vice direttore, occupava più spesso quella scrivania di quanto non facesse il dottore, già impegnato all’Istituto per la Ricerca sulla Foto Potenza. Quando i due entrarono nell’ufficio, la fiamma stava volteggiando in mezzo alla stanza. Poi, il suo colore cambiò. Da rosso divenne giallo canarino….ando a posarsi su una cornice, avvolgendola completamente. Tetsuya e Jun erano paralizzati dalla sorpresa. In quella cornice c’era una foto molto particolare. Era una foto in cui erano riuniti il Dizer team e il Mazinger team al completo. Tetsuya, Jun, Sayaka, Shiro e il Dottor Yumi si erano recati all’Istituto per le Scienze Spaziali di Umon, per andare a trovare Koji e conoscere Daisuke e il Dizer team. In quell’occasione avevano pranzato alla fattoria Shirakaba di Danbei. La foto commemorativa l’aveva scattata il tecnico Hayashi. Erano riuniti proprio tutti: Koji, Sayaka, Tetsuya, Jun, Daisuke, Hikaru, Maria, ai due lati c’erano i professori, vestiti al solito, in maniera impeccabile; e al centro Goro, Shiro e il vecchio Danbei. Sayaka guardava storto Maria che teneva Koji a braccetto. Un bel ricordo immortalato in quella foto, appesa bene in vista in tutti e tre gli istituti. La fiamma avvolse quella foto incorniciata. Ma non la bruciò. Scintillò per un breve istante, poi piano piano si spense e scomparve. Tetsuya e Jun si avvicinarono alla foto. Staccarono la cornice dal muro. La esaminarono millimetro per millimetro. La foto era intatta. Non una singola bruciatura era presente sulla cornice.

Qualche ora dopo. L’alba.
Jun e Tetsuya, seduti al tavolo della mensa della fortezza, stavano sorseggiando un caffè forte. Non erano più riusciti a dormire dopo l’arrivo di quella strana fiammella. Si interrogavano sul significato che poteva avere quel suo strano messaggio. L’intercom della mensa squillò. Tetsuya andò a rispondere. “Si. Parla Tetsuya.” Stette in silenzio per qualche secondo. “Va bene, passamela.” Tetsuya premette un pulsante e lo schermo dell’intercom si accese. Jun si avvicinò. Nello schermo era ritratta la figura di Sayaka. “Anche voi avete visto quella strana fiamma?” chiese la ragazza. “Vuoi dire che è venuta anche da te, all’istituto di Foto Potenza?” Chiese Tetsuya sorpreso. Sayaka annuì. “Che può voler dire?” chiese poi a Tetsuya. “Secondo me – esordì il pilota del Great Mazinger – ci avvertiva di qualche pericolo. Di qualcosa che potrebbe succedere ad uno di noi che siamo ritratti in quella foto.” “Ma chi potrebbe essere?” chiese Jun. “Non so proprio risponderti.” Un trillo nel citofono di Tetsuya lo avvertì che c’era un’altra chiamata in arrivo. Premette un altro pulsante. L’immagine sullo schermo si divise in due, collegando l’altra chiamata. In linea c’era Hikaru Makiba. Stava chiamando in video conferenza sia la Fortezza delle Scienze che l’Istituto per la Foto Potenza. Hikaru raccontò di aver ricevuto la visita di quella strana fiamma giallastra, che aveva circondato la foto in cui erano ritratti tutti insieme. A Tetsuya venne in mente un particolare. “Hikaru, hai detto che la fiamma era di colore giallo?” “Si esatto. Un giallo intenso.” “Ed è sempre stata gialla? Tutto il tempo? Non ha mai cambiato colore?” “Si sempre gialla. Era gialla tutto il tempo.” Tetsuya escluse Hikaru dalla comunicazione. Lo schermi si riempì di nuovo completamente della figura di Sayaka. “Sayaka, noi andiamo alla fattoria dei Makiba. Tu resta di guardia all’istituto. E preparati a intervenire in caso di necessità.” “Bene!”, rispose Sayaka, chiudendo la comunicazione. “Che c’è Tetsuya?” gli chiese Jun perplessa. “Il giallo, Jun. Il giallo è un segnale di pericolo. E quella fiamma, nel caso di Hikaru è stata sempre gialla, mentre sia con Sayaka che con noi, all’inizio aveva un colore variabile dal rosso al blu.” “Ciò significa che…” “E’ Hikaru ad essere in pericolo.” “Vado a preparare le moto.” Disse Jun uscendo dalla stanza. “Aspetta!” la fermò Tetsuya. “Prendiamo i robot. Ho la sensazione che ne avremo bisogno.”